Partiti e politici
Steinmeier, un Presidente contro le paure della Germania (e dell’Europa)
Una domenica che ha segnato un passaggio istituzionale importante per la Germania della Cancelliera Angela Merkel, già alle prese con la campagna elettorale contro lo sfidante socialdemocratico Martin Schulz. In attesa di decidere il prossimo inquilino della Cancelleria, è il palazzo presidenziale di Bellevue a cambiare titolare: lascia il carismatico Joachim Gauck (che ha scelto di non correre per un secondo mandato) e si prepara a sostituirlo come Presidente della Repubblica federale l’attuale Ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier. Un’elezione indiretta per un ruolo perlopiù di rappresentanza, così regolato anche per via dello spettro della Repubblica di Weimar che negli anni Venti spianò la strada all’avvento di Hitler. A scegliere il successore di Gauck è stata, come prevede la Legge Fondamentale tedesca, un’Assemblea composta dai 620 deputati del Bundestag e dai 620 rappresentanti dei vari gruppi che siedono nei Parlamenti regionali. Dettaglio interessante: gli “inviati” a Berlino per l’elezione del capo dello Stato non devono per forza essere politici o figure istituzionali: i Verdi del Baden-Württemberg hanno scelto l’allenatore di calcio campione del mondo Joachim Löw, ma ci sono anche l’attrice ed ex modella Natalia Wörner (compagna dell’attuale Ministro della Giustizia Heiko Maas), la comica televisiva Carolin Kebekus, lo scrittore Feridun Zaimoglu e il cantante Roland Kaiser.
Oltre al socialdemocratico Steinmeier, indicato in partenza come il candidato di CDU, CSU, SPD, Verdi e liberali, altri quattro candidati hanno provato (simbolicamente) a sbarrare la strada al prescelto: l’economista di sinistra Christoph Butterwegge per la radicale Linke, il giudice e star televisiva Alexander Hold, l’ex membro della CDU e ora tra i fondatori del movimento di estrema destra “Alternativa per la Germania” Albrecht Glaser ed Engelbert Sonneborn per il partito dei Pirati. Candidature civetta, che non hanno retto l’urto della convergenza di tutti i grandi partiti sul nome di Steinmeier: con una maggioranza assoluta fissata a 631 voti, il Ministro degli Esteri ne ha incassati 931, mentre lo sfidante di sinistra Butterwegge si è fermato a 128. Solo poche decine i voti per gli altri tre. Performance comunque leggermente migliori delle aspettative: i voti di Butterwegge sono infatti più dei seggi detenuti dalla Linke (93) e anche il rappresentante della destra anti-Islam e nazionalista Glaser ha riscosso più consensi di quelli attribuibili al suo movimento. Segnale di allarme per la tenuta della Grande Coalizione? La stessa CDU, attraverso il suo Segretario Andreas Scheuer, ha precisato che il voto a Steinmeier è un riconoscimento alla persona e non all’esponente politico. Categorico anche il leader dei liberali Christian Lindner, estromessi dal Bundestag all’ultima tornata elettorale ma in passato al Governo con la Merkel: nessun valore politico, ma solo un segnale del senso dello Stato che ha sempre contraddistinto il suo partito.
Le gallerie fotografiche pubblicate in queste ore sui siti web dei principali quotidiani della Germania restituiscono un’immagine del nuovo Presidente della Repubblica che i tedeschi hanno imparato a conoscere ed apprezzare: gli esordi nella politica locale della Bassa Sassonia come braccio destro dell’allora Governatore Gerhard Schröder, il trasferimento a Berlino dopo la sua elezione a Cancelliere nel 1998, il ruolo decisivo nella definizione delle riforme approvate in quel periodo (fra tutte, la famosa Agenda 2010), il mandato di Ministro degli Esteri durante il primo governo di Grande Coalizione di Angela Merkel nel 2005, la sfortunata candidatura a Cancelliere nel 2009, fino al ritorno al Ministero dopo la sconfitta del compagno di partito Peer Steinbrück nel 2013. Una carriera intrinsecamente politica, condotta con coerenza e spirito di servizio, che lo ha reso un “professionista del potere” secondo l’acuta definizione della Süddeutsche Zeitung. L’editorialista Michael Thumann ha scritto sul quotidiano Die Zeit che una figura come quella di Steinmeier è la più adatta a prendere le redini della Presidenza dopo il rilancio del ruolo operato con garbo e carisma dal predecessore: un uomo che non polarizza il dibattito politico e che negli ultimi anni ha gestito con maestria dossier internazionali bollenti come la guerra in Siria, la crisi ucraina, la trattativa per l’accordo sul nucleare con l’Iran. Una persona che, negli auspici formulati dai media, unisca il Paese e abbassi la temperatura dello scontro politico e dell’indignazione popolare, garantendo allo stesso tempo una vigorosa e autorevole difesa dei valori-cardine della democrazia tedesca a livello europeo ed internazionale.
“Un Presidente per tempi difficili”, ha titolato Die Zeit annunciandone l’elezione. Un ispiratore di scelte coraggiose contro gli imprenditori politici della paura, lo ha etichettato invece il commentatore Stefan Kuzmany sul sito della rivista Spiegel. Stefan Braun, dalle colonne della SZ, ha però ammonito: a differenza di quanti arrivano alla Presidenza e devono abituarsi ai riti e alle liturgie imposte dal ruolo (come fu per lo stesso Gauck, pastore prestato alla politica), Steinmeier parte con il vantaggio della straordinaria esperienza accumulata in ambito diplomatico e della sua dimestichezza con il protocollo delle istituzioni. Dovrà quindi fare il percorso inverso: abituarsi a togliere ogni tanto le lenti del politico per mettersi in gioco come uomo, uscire dai saldi binari della retorica presidenziale (rinvigorita dal formidabile stile di predicatore di Gauck) per parlare un linguaggio comprensibile a tutti, anche a chi sta male ed è sopraffatto da emozioni negative o dalla paura per il futuro.
Una sfida interessante, perché è la stessa sulla quale si gioca il futuro della Politica in molti altri Paesi e in Europa. Spetterà a Steinmeier rappresentare dal Palazzo di Bellevue una Germania che non si interroga solo sul valore delle proprie scelte e sul futuro di una società in cambiamento, ma che è anche fondamentale per contribuire, nell’epoca di Donald Trump, al definitivo ingresso dell’Unione Europea nell’età adulta.
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