Partiti e politici
Lo Stato siete voi
Il 2 giugno, Festa della Repubblica, il neo ministro Di Maio ha parlato a Roma davanti a una platea di militanti convocati qualche giorno prima in protesta contro il Capo dello Stato, accusato addirittura di “alto tradimento”; rientrata la sparata dell’ impeachment, la manifestazione polemica si è trasformata nel festeggiamento per l’ascesa del Movimento alla guida del Paese.
Di Maio ha presentato al suo pubblico l’imprenditore Sergio Bramini, appena chiamato a fare da consulente al ministero dello Sviluppo Economico e ha raccontato la sua storia con queste parole: “Sergio vantava un credito con lo Stato e lo Stato non lo ha pagato… questo ha causato il fallimento dell’azienda di Sergio… inoltre qualche giorno fa lo Stato gli ha pignorato anche la casa“. Di fronte all’inevitabile salva di fischi all’indirizzo dello “Stato”, Di Maio ha reagito interrompendoli con un: “fermi, non c’è bisogno di fischiare, da oggi lo Stato siamo noi“.
L’episodio dice tutto della strategia con la quale il Movimento Cinque Stelle intende governare: continuando ad aizzare le folle contro lo Stato inefficiente, corrotto e sprecone e continuando a promettere la soluzione immediata di tutti i problemi – salvo poi scaricare la colpa del tradimento delle promesse su un capro espiatorio a piacimento (il ministro dell’Economia, la burocrazia italiana, la tecnocrazia europea). Peccato che qualcun altro abbia appena sperimentato la stessa linea, con risultati assai deludenti: ma, si sa, il furbo del giorno dopo si ritiene sempre più furbo di quello del giorno prima…
La frase di di Maio rivela però anche una concezione del tutto distorta del proprio ruolo. Se il Movimento Cinque Stelle è diventato “lo Stato” solo oggi significa che prima, da forza di opposizione, non lo era; e non lo era neppure da partito chiamato ad assumere l’incarico di governo col suo professor Conte – ecco perché si è potuto permettere, proprio da quella posizione, di accusare a vanvera il Quirinale di alto tradimento. Questa assimilazione della funzione di rappresentanza dello Stato con quella di governo è lontana dalla cultura democratica di una Repubblica parlamentare e lascia immaginare il rispetto per il ruolo delle opposizioni che questo esecutivo saprà dimostrare.
Forse, la goffa frase di di Maio aveva però un altro senso: “da oggi siamo noi quello Stato che deve pagare i suoi debiti agli imprenditori come Bramini”. In questo caso, le parole sono rivelatrici di doppiopesismo: si possono fischiare i torti della Pubblica Amministrazione solo fino a quando ne sono responsabili gli avversari politici; ora che tocca al Movimento, il dissenso non è più ammesso. Di qui in avanti ogni mancanza della macchina dello Stato, che prima veniva usata come una clava contro chi era al governo, andrà considerata sanata dalla presenza taumaturgica dei Cinque Stelle nella cabina di manovra. C’è da scommettere che la militanza grillina – soprattutto quella virtuale – si adeguerà immediatamente alla nuova linea: del resto è ciò che abbiamo visto accadere a Roma con la giunta Raggi, generosamente perdonata di inefficienze che scatenavano l’attacco ad alzo zero sul sindaco precedente.
In tanta sconfortante partigianeria, c’è solo da sperare che le parole del leader di Maio abbiano acceso un barlume di consapevolezza nel Movimento e soprattutto nei suoi rappresentanti istituzionali, ai quali vorrei dire: cari Parlamentari pentastellati, che sia da oggi o da ieri, ormai lo Stato siete voi; non potete più lasciarvi andare a esternazioni improvvisate, a invettive incendiarie, a promesse dai piedi di argilla. Ogni vostra parola ha un peso, può cambiare ancor più di prima il destino degli italiani: cercate di essere all’altezza di questa enorme responsabilità.
(fonte dell’immagine)
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