Partiti e politici
Spagna: il successo di Rivera è una lezione inascoltata ai centristi ‘de noantri
Domenica 20 dicembre termina il lungo anno elettorale dell’Europa. La Spagna è chiamata al voto, chiudendo idealmente il ciclo iniziato il 25 gennaio in Grecia. E, anche in questo caso, l’Ue lancia un’occhiata interessata alla situazione, benché meno preoccupata rispetto a quanto avvenuto con Alexis Tsipras. A Madrid potrebbe esserci una certa instabilità politica, ma ‘guaribile’ con un’alleanza che può dare al Paese un governo filoeuropeo. I sondaggi annunciano una vittoria zoppa dei popolari del premier Mariano Rajoy, che dovrà cercare voti dagli partiti in Parlamento per andare avanti. La minaccia Podemos sembra sostanzialmente disinnescata, anche se il consenso potrebbe avvicinarsi al 20% (nella migliore delle ipotesi).
Così il vero spunto di interesse delle elezioni spagnole, porta il nome di Albert Rivera, 36 anni, leader di Ciudadanos (la traduzione è “cittadini”), un movimento praticamente sconosciuto fino a qualche anno fa e che ora punta a superare il 20%. Agli esordi era solo una forza locale catalana, nata con l’intenzione di combattere i secessionisti in un’ottica di rinnovamento sposando la causa della Spagna nell’Europa. E l’evoluzione degli eventi ha servito una grande occasione ai “cittadini” di Rivera: affermarsi come forza anti-sistema nel panorama nazionale. Senza portare appresso l’incognita di Podemos, soggetto tendenzialmente anti-europeo ma che per pragmatismo non sbandiera una immediata fuoriuscita dall’euro. Albert Rivera è un abile comunicatore, grazie alla freschezza della sua immagine, ed è anche politico scaltro in grado di ascoltare l’establishment accademico. Per questo motivo viene incastonato nell’etichetta di centrista, che tuttavia risulta un eccesso di semplificazione.
Ciudadanos garantisce una sorta di “rivoluzione gentile”, che in Italia (con tutte le differenze del caso) avrebbe potuto essere incarnata da “Fare per fermare il declino” se solo Oscar Giannino non avesse mentito sul curriculum vitae, incappando in una gaffe che è entrata nella storia degli harakiri politici. L’obiettivo era infatti simile: attaccare i “partiti tradizionali”, criticando il logoramento, la corruzione e tutto l’armamentario della malapolitica. Ma evitando allo stesso tempo l’accusa di populismo che tocca in sorte al Movimento 5 Stelle. Dunque le elezioni del 20 dicembre in Spagna sono un momento di riflessione generale, sulle possibilità di innovare la richiesta di rappresentanza.
Il successo annunciato di Rivera – se saranno confermati i sondaggi della vigilia – finirà per rianimare il dibattito dei terzopolisti made in Italy, che in realtà sognano una riedizione della Democrazia cristiana del Terzo Millennio. Ovviamente, al di là di qualche eventuale dichiarazione di circostanza, la lezione di Ciudadanos resta irripetibile per i centristi ‘de noantri che non hanno saputo ascoltare le esigenze dell’elettorato negli anni scorsi e oggi sono stati fagocitati in gran parte dal Pd di Matteo Renzi. Perché lo spazio per un partito di rottura, sebbene su posizioni moderate, c’era tutto anche in Italia. A patto che fosse davvero di rottura e non l’ennesimo maquillage di notabili.
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