Partiti e politici

La domanda che resta: perché Lupi è fuori e i sottosegretari indagati no?

20 Marzo 2015

Ho cercato la risposta in tutte le cartelle possibili ma, 24 ore dopo l’ufficialità delle dimissioni di Lupi, in tutta franchezza, ancora non l’ho trovata. La domanda è semplice, quasi banale: ma perché il non-indagato Maurizio Lupi ha fatto cosa saggia – parole del premier Renzi, che al passo lo ha spinto peraltro in ogni modo – mentre invece cinque sottosegretari del governo Renzi, che sono iscritti al registro degli indagati in varie procure della Repubblica, possono serenamente rimanere al loro posto? La questione se la pone qualche giornale critico, ma non travalica il muro dell’informazione mainstream, che Renzi e i suoi controllano con capillarità impressionante. Tanto è compatto il silenzio che ho pensato a lungo alle ragioni che mi sfuggivano, le ho cercate davvero in ogni dove. Ma – confesso – non le ho trovate.

Parliamo delle indagini che vedono coinvolti Vito De Filippo, sottosegretario democratico al ministero della Salute, Francesca Barracciu, sottosegretario ai beni culturali, Umberto Del Basso De Caro, sottosegretario alle Infrastrutture (per il quale la Procura ha chiesto da poco l’archiviazione), Davide Faraone, sottosegretario al Miur, e  Giuseppe Castiglione, sottosegretario Ncd all’Agricoltura. I primi quattro risultano tutti indagati a vario titolo per questioni legate alle spese regionali, non rendicontate o, secondo l’accusa, gonfiate. Castiglione ha invece un’imputazione più importante, visto che si parla di abuso d’ufficio e turbativa d’asta per appalti sul Cara di Mineo.

Non può essere un criterio, per questo diverso trattamento, l’eventuale supposta esiguità di alcune accuse (inchieste sulle spese pazze delle regioni sono state aperte da molte procure della Repubblica d’Italia, a volte per sospetti su poche migliaia di euro) per molte buone ragioni: la prima è che una (supporta, tutta da provare) distrazione di fondi pubblici a fini privati non è poco grave, se a commetterla è un politica che usa i nostri soldi. La seconda buona ragione è che il comportamento di Maurizio Lupi non costituiva reato, neanche in ipotesi, e infatti non è stato indagato, mentre qui ad essere ipotizzata è una violazione delle legge penale: per definizione, dovremmo credere, un’eventuale mancanza di rispetto della legge è oggettivamente più grave di un comportamento moralmente discutibili ma non punti dalla legge. O no?

Cerca e ricerca, davvero non si riesce a capire il perché cinque indagati possano stare nel governo e un ministro non-indagato no. O meglio: non si riesce a capire perché un criterio meravigliosamente rigoroso, finalmente anglosassone, possa essere tale se vale solo per il non-indagato Lupi (a suo tempo: per la non-indagata Cancellieri) e non vale per chi formalmente è accusato di aver distratto soldi pubblici dal pubblico interesse, per soddisfare invece indebitamente il proprio, di interesse. Nessuno statuto speciale (quello della Sicilia di Faraone e Castiglione, o della Sardegna di Francesca Barraciu) giustifica agli occhi di cittadini normali questa stranezza e questa disparità, tanto più che fu proprio una ministra influente e indubbiamente fedele alla linea renziana come Maria Elena Boschi a spiegare, un annetto fa quando si parlava delle indagini sulla Barraciu, che il governo non avrebbe mai chiesto le dimissioni per chi riceveva un avviso di garanzia. Non aveva spiegato che però avrebbe spinto per le dimissioni di chi non era neanche indagato. Il mistero, insomma, resta tale, ma forse è solo questione di tempo: quando serviranno le poltrone dei sottosegretari, o di alcuni tra essi, le indagini saranno un peso troppo grande da portare e con gentilezza, magari facendo filtrare qualche indiscrezione, gli interessati saranno invitati alla porta.

It’s politics, studip (me). 

 

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