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Sostituzione etnica: la Meloni è razzista?

24 Aprile 2024

Andiamo con ordine: la signora Meloni ha usato più volte il termine “sostituzione etnica prima di diventare Presidente del Consiglio. Ha strillato, nel 2017, che in Italia erano arrivati 500.000 immigrati in tre anni: “Un’invasione pianificata e voluta: si chiama sostituzione etnica e noi non la vogliamo!”. E poi, nel 2018, la signora Meloni ha accusato George Soros, imprenditore e filantropo ma, in realtà, sempre secondo la signora Meloni, complottista, di finanziare la sostituzione etnica dei popoli europei. Giorgia Meloni non ha aggiunto molto altro all’argomentazione di una simile tesi, ma il suo stile comunicativo consiste nell’estrema semplificazione dei messaggi, né tanto meno i suoi elettori sembrano interessati a maggiori approfondimenti sulle tesi esposte dalla loro leader.

Come potrebbe mai George Soros convincere 500.000 persone che arrivano da paesi differenti a dirigersi tutti verso l’Italia? Ha degli emissari che pagano i migranti per partire e li costringono a puntare sull’Italia? Ci sono prove, testimoni? La risposta è no, naturalemente, ma le teorie complottistiche non hanno l’obiettivo di dimostrare la veridicità delle ipotesi che sostengono, ma di colpire l’immaginazione di chi le ascolta, come le favole che ci raccontavano da bambini. Devono far volare la fantasia e provocare sentimenti primitivi di paura verso gli “estranei”: non hanno il compito di stimolare il ragionamento.

Anyway, una volta che è riuscita a diventare Presidente del Consiglio, la signora Meloni ha lasciato ai suoi uomini il compito di far strillare la sirena del complotto della sostituzione etnica ai danni dell’Europa, primo tra tutti il Ministro dell’Agricoltura, il cognato Lollobrigida, che però non si è lasciato cogliere impreparato, evitando di sostenere l’esistenza di differenze di tipo razziale tra le persone, anche perchè ormai è stato appurato che non c’è nessuna diversità biologica tra individui della stessa specie. Lollobrigida propone infatti di “difendere l’etnia italiana”, caratterizzata dalla cultura italiana (Dante e Manzoni, magari anche Foscolo, chissà), il modo di vivere italiano (fare il pranzo della domenica con i suoceri e consuoceri?), il bere e mangiare italiano (Prosecco invece dello Champagne?) e altre consimili usanze (piuttosto vaghe).

Il Ministro Lollobrigida non si lancia quindi in una campagna puramente razzista, anche perchè immagino che qualcuno gli abbia spiegato che il colore differente della pelle è solo un effetto della quantità e del tipo di pigmento (melanina) presente. La pelle scura protegge dai melanomi causati dai raggi ultravioletti mentre la pelle più chiara blocca di meno la luce solare e quindi favorisce la produzione di vitamina D3 che serve per assorbire il calcio e aiuta la crescita ossea. Le migrazioni (dall’Africa, dove nasce l’homo sapiens) che si sono sviluppate in milioni di anni, hanno portato a variazioni di tipo “adattivo” dei vari colori della pelle.

Un homo sapiens è diverso da una balena, ma tra gli homo sapiens non vi sono differenze genetiche in grado di spiegare la differenza di comportamento tra gruppi diversi di persone. Il razzismo è quindi diventato un ferrovecchio anche per la Meloni e Lollobrigida, sostituito dal concetto di “etnia”  o “gruppo etnico”, riconosciuto invece dalle scienze sociali. Sempre citando il Ministro dell’Agricoltura, il gruppo etnico italiano sarebbe infatti unito dal fatto che le persone che vi appartengono parlano la stessa lingua, hanno la stessa cultura nonché sono dotati di un’identità italiana.

Non nego certo la realtà: le etnie esistono, e per molte di loro le origini si perdono nella notte dei tempi. Quella italiana è il prodotto di incroci di popolazioni ancestrali autoctone ed esterne, visto che il nostro paese è stato il crocevia di molte immigrazioni. Esistono etnie che sono state toccate meno della nostra dal fenomeno di intersection con altre etnie, ma in generale si può dire che la nascita degli stati europei è fondata su principi etnografici: a ogni stato corrisponde un’etnia che parla la stessa lingua e si considera uno stesso popolo.

Dal principio etnografico come base per la nascita delle nazioni è senz’altro derivata la Guerra dei Balcani, ma sulla base degli stessi principi etnografici è nata anche la recente Guerra della Russia contro l’Ucraina: il popolo ucraino è storicamente russo (secondo Putin) e quindi non ha il diritto all’autodeterminazione, ma deve riunirsi all’etnia alla quale appartiene.

I riferimenti all’etnia come “base delle nazioni” sono quindi armi a doppio taglio: se appartieni alla mia stessa etnia, devi restare all’interno della mia nazione; se non appartieni alla mia etnia, sarebbe meglio che tu stessi fuori dai miei territori. E’ questa di fatto la tesi sostenuta dai fautori della teoria della “sostituzione etnica”, che vorrebbero difendere la “purezza” dell’etnia che abita in una nazione, evitando che sia contaminata da persone appartenenti a etnie diverse. I problemi nascono però quando in una stessa nazione abita più di un’etnia (come nel caso della Guerra dei Balcani), o quando in una nazione nata come monoetnica, come l’Italia, arrivano altre etnie (in genere per lavorare) da altri paesi.

Il fenomeno dei movimenti dei popoli (e cioè delle etnie) ha caratterizzato almeno gli ultimi cinquant’anni di storia mondiale, nel senso che le frontiere sono diventate più porose, il costo dei trasporti è diminuito e la forza lavoro si è spostata dove veniva remunerata meglio. In altre parole, le persone che abitavano in paesi più poveri sono riuscite a trasferirsi nei paesi più ricchi, dove c’era offerta di lavoro. Si è trattato quindi di migrazioni economiche trainate dall’offerta, ovvero le persone sono andate dove sapevano che qualcuno avrebbe offerto loro un lavoro, e sono riuscite a prendere un aereo, una nave, o hanno fatto lunghi viaggi a piedi per spostarsi, mentre nei periodi precedenti ciò non sarebbe stato possibile.

Questo fenomeno è stato trainato dai capitali, ovvero dai proprietari dei mezzi di produzione, che hanno guadagnato di più perchè hanno speso di meno per acquistare forza lavoro, ma ha sicuramente danneggiato i nazionali che sono stati pagati di meno, vista la concorrenza degli stranieri. I nazionali, però, hanno goduto di prezzi più bassi per le merci che acquistavano e contenevano “lavoro” meno costoso del loro.

Ma non solo, a questo dobbiamo aggiungere la delocalizzazione dei mezzi di produzione, ovvero le multinazionali hanno spostato le macchine produttive nei paesi dove il lavoro costava di meno. Con la conseguenza – di nuovo – della perdita di posti lavoro per i nazionali, che però hanno potuto comprarsi uno smartphone per duecento euro (ma anche cento, se ti accontenti).

Lo so che è un discorso difficile da fare: “Caro cittadino, hai perso il lavoro, ma per pochi euro ti puoi comprare un cellulare con il magro sussidio di disoccupazione che riceverai”. Ci sono paesi che hanno cercato di evitare che questo succedesse, anche perchè il fenomeno colpisce soprattutto i lavoratori poco specializzati, più facili da rimpiazzare con i lavoratori stranieri.

Alcuni paesi hanno riqualificato la loro forza lavoro per spostarla su produzioni tecnologicamente più avanzate, mentre portavano  all’estero, dove il lavoro costava di meno, quelle più labour-intesive. Altri paesi non hanno fatto assolutamente niente, come l’Italia, dove l’impoverimento della fascia di popolazione più colpita dall’apertura del mercato dei capitali e della forza lavoro è andata ad arricchire l’elettorato dei partiti di destra che hanno adottato teorie come quella della “sostituzione etnica”, contro la quale vorrebbero battersi, senza però sapere neanche loro se in Italia disponiamo di sufficiente manodopera disposta a prendere il posto di quella straniera, e soprattutto senza nessuna certezza che questi fantomatici lavoratori italiani sarebbero pronti ad accettare i salari in genere molto più bassi offerti ai lavori stranieri (credo proprio di no). Ultimo ma non ultimo, se la destra riuscisse per davvero a impedire la sostituzione etnica, il prezzo di tutti prodotti (a cominciare da frutta e verdura, ma anche di molti prodotti industriali) salirebbe in conseguenza dell’aumento dei salari dei lavoratori italiani, che guadagnerebbero di più, ma pagherebbero i pomodori dieci euro al chilo.

Discorsi troppo complicati da fare agli elettori: non è meglio fermarsi prima, ad allegre vaghezze sull’identità italiana, la cultura italiana, il sovranismo alimentare italiano, la mozzarella italiana (prodotta magari da cingalesi, ma non importa) da difendere da chi ci sta invadendo? Capite anche voi che senza fare tutto il ragionamento che sta tra la mozzarella e la globalizzazione dei mercati del lavoro e dei capitali, parlare di invasione non è altro che un modo per vellicare i sentimenti di odio razziale (lo vogliamo chiamare “odio etnico”? Fa poca differenza…) che non dovrebbero essere presenti in società multietniche, o multipolari, per usare un termine più moderno, dove sono stati importati lavoratori (di etnia diversa), ai quali non si può dare la colpa di tutto quello che non funziona: “Basta liberarci di loro, e staremo tutti meglio!”.

Combattere contro la sostituzione etnica non è altro che razzismo, inteso come sostanziale svilimento di chi non appartiene alla nostra stessa etnia. Ma ormai il genio del razzismo è uscito di nuovo dalla lampada e sarà difficile ricacciarlo dentro per discutere di come si vive in uno stato multietnico, laico, dove sia praticata la tolleranza, non solo quella etnica e religiosa, ma anche quella relativa ai costumi sessuali delle persone, alle quali non bisogna mettere il naso nelle mutande per controllare di che attributi sessuali siano dotate e con chi li usino.

Vogliamo vivere in pace, siamo in Europa, non vogliamo usare i fucili (o i machete) con chi appartiene a un’etnia diversa dalla nostra. Trovo disgustose le politiche della destra che vogliono addirittura infiammare gli animi contro i “bambini stranieri” che non devono essere più del 20% degli alunni in una classe, come se stessimo parlando delle percentuali dei vitigni nel disciplinare del Prosecco. Il buon gusto ormai è uscito di scena, sostituito dal complottismo e dalle teorie sulla purezza etnica. La destra al potere in Italia non ha nulla di liberale, ma puzza ancora (molto) di fogna.

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