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Social-populismo: i trucchi di Matteo Salvini su Facebook
I politici, di norma, usano i social network per fare tre cose: dichiarazioni (risposte e smentite incluse), diffondere la loro agenda, rilanciare clip dei loro interventi più riusciti nei talk show. Matteo Salvini, ovviamente, fa tutte e tre queste cose. Ma a differenza degli altri politici ha aggiunto a queste funzioni base un paio di stratagemmi da vero social media manager. Per capire meglio la particolare strategia sui social media del segretario della Lega Nord bisogna però partire da chi della sua comunicazione si occupa e che pochi mesi fa è uscito allo scoperto: Luca Morisi, docente di Informatica all’Università di Verona. È a lui, da quanto si capisce nelle interviste uscite a dicembre, che si deve l’innegabile successo di Salvini su Facebook (638mila like, poco meno dei 780mila di Matteo Renzi), territorio d’elezione del leader leghista che invece su Twitter ha solo 114mila followers (meno di un decimo del milione e mezzo e passa del premier, anche se in rapida ascesa).
Questa è la prima stranezza. La maggior parte dei politici usa Twitter come mezzo di comunicazione personale e lascia a Facebook il compito di megafono più istituzionale (tra molte virgolette); Salvini al contrario usa Facebook nel migliore dei modi e sembra limitarsi a rilanciare quanto lì scritto su Twitter (salvo l’utilizzo di alcuni hashtag più o meno riusciti, tra cui #ioleggopiudirenzi). Una scelta, ovviamente, non dettata dal caso ma frutto di una strategia ben precisa: “Il premier privilegia Twitter, che però è elitario, Grillo il suo blog, più utile all’approfondimento. Noi ci concentriamo su Facebook, per un motivo molto semplice: in Italia, il popolo, sta lì. E noi andiamo a prendercelo”, così spiega lo spin doctor Morisi in una delle interviste prima citate.
E in effetti è proprio così: Twitter sarà anche più alla moda, più facile nell’utilizzo su smartphone, più adatto a un utente socio-economicamente elevato come sono, quasi sempre, i politici; ma quanto è utilizzato dal popolo che poi si reca alle urne a votare? Basti pensare che gli utenti di Facebook, in Italia, erano 26 milioni nel gennaio 2014; nello stesso periodo su Twitter erano attivi tra i 3 e i 4 milioni di utenti (a seconda della fonte). Ma la differenza non è solo quantitativa, è anche qualitativa: su Twitter si trova un elettorato mediamente più istruito (fonte: Tagliaerbe). Twitter sarà anche più adatto per le comunicazioni tra politici, giornalisti, blogger e quant’altro; ma è su Facebook che si ha la reale possibilità di comunicare con l’elettorato che si vuole conquistare. Questo, Salvini l’ha capito benissimo.
Ed è proprio nella comunicazione con l’elettorato che la strategia di Salvini è molto diversa da quella degli altri politici (e arriviamo alla seconda particolarità). I suoi post (che pare vengano scritti uno per uno direttamente da lui) non sono delle semplici dichiarazioni, contengono quasi sempre al loro interno una domanda rivolta a chi quei post legge. Ecco un esempio:
Le cose da notare sono tre: la prima è che questo post non ha nessuna attinenza con la politica (cosa abbastanza rara da parte di un politico), la seconda è ovviamente il tono nazional-popolare condito da tanto di “ossignur”; la terza è quella domanda posta in conclusione delle sue parole. Non c’è niente di male nel sondare l’opinione dei propri sostenitori su Sanremo, ovviamente, eppure un po’ quella domanda stona. Più che altro perché sembra strutturata come una vera e propria “call-to-action”, una chiamata all’azione per spingere i propri fan a commentare il post. In questo caso non ha avuto grande successo, visto che ci sono solo 38 commenti, ma la cosa si ripete molto di frequente, e con ben altri risultati.
Temi serissimi e temi faceti, come si vede. Ma sempre contraddistinti dalla domanda in fondo al post. Ma davvero a Salvini interessa così tanto sapere che cosa pensano i suoi supporter della situazione in Ucraina o di Juve-Milan? In verità è molto più probabile che questa sia una vera e propria strategia da social media manager, che mette in pratica la sopraccitata “call-to-action” allo scopo di aumentare il più possibile i commenti. In questo modo il ranking della pagina di Salvini aumenta e Facebook aumenta la visibilità di questi post (Morisi parla di una percentuale di reach dell’85% su base mensile – il che significa che più o meno tutti quelli che usano Facebook hanno visto in un mese almeno un post di Salvini). Insomma, le domande fatte agli utenti seguono una logica aziendalista, sono con tutta probabilità poste con lo stesso obiettivo per cui un social media manager pubblica un bel tramonto chiedendo agli utenti di esprimere quanto gli piaccia. Da quanto ho visto, è l’unico politico che fa una cosa del genere.
La terza stranezza della pagina Facebook di Matteo Salvini è il suo linguaccio. Forse è una conseguenza del diventare segretario federale della Lega Nord (il vecchio Bossi non ha certo peli sulla lingua), più probabilmente è un modo per mostrarsi vicino all’elettorato arrabbiato a cui Salvini punta. E quindi, ecco come un politico di primo piano si esprime su Facebook.
I burocrati di Bruxelles devono andare a “farsi fottere” mentre noi viviamo in uno “stato di merda”. Ormai la parolaccia in televisione è stata completamente liberata (ieri Sgarbi, un precursore, a Piazza Pulita ha detto qualcosa tipo “altro che Scelta Civica, quella è una Scelta del buco del culo”, mentre tutti ridevano allegramente) e non è il caso di discutere qui se sia un bene o un male, è chiaro però come anche questo sia una stratagemma di Salvini per mostrarsi in linea con la rabbia dei suoi elettori e magari incitare alla condivisione del post “scandaloso” (di nuovo la call-to-action).
In definitiva: privilegiare Facebook, costruire un rapporto con i supporter che abbia anche la conseguenza di aumentare il ranking della pagina e assumere un linguaggio il più possibile vicino a quello dell’uomo della strada di cui si cerca il voto (quegli snob che usano Twitter vengono assolutamente in secondo piano). Il populismo al tempo del social network.
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