Partiti e politici
Sillogismi democratici sui grillini
Il Movimento 5 Stelle è nato un decennio fa in Rete. Gianroberto Casaleggio non era un democratico. Del web aveva conoscenza profonda e profondamente ne coglieva il potenziale distopico, manipolativo, autoritario. E quel potenziale ha coltivato. Dal web ai meet-up e dai meet-up allo tsunami: in dieci anni da zero a 10 milioni di voti, il 32%.
Anche Davide conosce la Rete e il relativo potenziale, quello economico. Alla morte di Gianroberto, Rousseau diventa una holding che amministra i dati degli iscritti (circa 400.000 secondo fonti stampa, 140.000 dei quali aventi diritto al voto) alla piattaforma proprietaria che fornisce agi attivisti del Movimento strumenti di “democrazia diretta”. E li fornisce violando i diritti alla privacy di quei cittadini attivi, che di quello strumento illusorio di decisione si credono invece protagonisti.
Ai sensi di statuto, Rousseau si aggiudica per default un finanziamento di 400 euro al mese dai 339 parlamentari 5 Stelle eletti. E quando si scrive Rousseau si legge Casaleggio Davide persona fisica – anche qui, ai sensi di Statuto.
Nel bel libro di Jacopo Jacoboni – L’esperimento. Inchiesta sul Movimento 5 Stelle – si spiega bene cosa sia il Movimento, quale pericolo rappresenti per la democrazia. Come nasce, si evolve e come opera. Casaleggio si è accorto che era la democrazia a cambiare nel mondo globale e interconnesso, i democratici no. I democratici invece non si erano accorti che sin da subito i meet-up fossero in realtà assemblee fisiche auto-finanziate, e che quelle persone riunite si trasformassero in attività politica sul territorio – come usa dire. Mese dopo mese, anno dopo anno.
I media, cui i democratici affidano le proprie chiavi interpretative del mondo, hanno prima ignorato, poi deriso e infine – ora – blandito i grillini nel loro tragitto dal Big Bang di Casaleggio, al Vaffanculo di Grillo, allo Tsunami meta-governativo di Di Maio. Non l’avevamo previsto, come potevamo sapere. Ogni volta così, per i democratici, una sorpresa.
E ogni volta la consueta analisi tardiva, consolatoria. E’ così in tutto il mondo, prescinde da noi, sono le forze del male. Dunque Resistenza!, e appello al fronte comune – noi illuminati contro loro, il fronte unico anti-europeo, anti-democratico e illiberale.
Per presidiare la democrazia, i democratici – gli stessi che hanno licenziato a poche settimane dal voto una legge elettorale liberticida – ritengono di doversi attrezzare per la denuncia degli antidemocratici nazionalisti – leghisti e grillini sbrigativamente depositati in un unico calderone “ideologico” – e rinunciare anche solo a ipotizzare di conquistarne invece gli elettori.
La tesi è che le persone che votano 5 Stelle – nonostante la Raggi e gli scandali, nonostante Rousseau o forse proprio in virtù di Rousseau – siano anti-democratici ed anti-europei. Siano quindi genericamente nazionalisti autoritari, o comunque siano inclini ad esserlo. Questa tesi tuttavia non è mai stata provata.
Nel vissuto reale, individuale, la democrazia italiana – come in fondo ormai anche quella europea – ha più i connotati di una oligarchia, sempre più chiusa ed escludente, incapace di auto-riformarsi, aprirsi, rispettare le regole che essa stessa si dà.
Il successo dei 5 Stelle – o forse il fallimento del Pd e quindi di +Europa – per Emma Bonino è stato uno tsunami imprevedibile, e anche se l’avesse previsto non avrebbe saputo come fermarlo. Ma l’onda è cominciata dieci anni fa, non il 4 marzo. E fare politica vuol dire vederne la portata quando non è ancora che una increspatura. Questo problema i democratici europeisti non sembrano porselo. Né sembrano cogliere la propria responsabilità nelle implicazioni sistemiche – non ideologiche – di questa omissione.
Nel fronte dei buoni – la nouvelle résistance – ci si limita a constatare gli accadimenti, modulare la voce sui toni del dramma e denunciare il fatto: la democrazia è spiaggiata. A questo fenomeno tuttavia non si sa dare altra risposta se non il presidio simbolico dell’idea – non la sua declinazione concreta – di democrazia liberale, di mondo aperto contro mondo chiuso. Un rosario rassicurante.
E’ una riserva retorica incontaminata, questa Democrazia, come lo è questa Europa nel racconto di chi proprio della Democrazia e dell’Europa fa addirittura brand di partito, e non ci pensano proprio ad uscire da lì.
Così però non si protegge la democrazia, si protegge sé stessi, il proprio ruolo, la propria necessità di partecipare alla vita politica, istituzionale, elettorale. Il contributo degli altri – il ruolo che tutti e ciascuno cercano nella democrazia, viene invece ignorato.
Il richiamo alla necessità di partecipare – individualmente – alla selezione delle priorità, alla condivisione degli obiettivi, alla scrittura delle regole, viene lasciato ai grillini. E gli elettori, in mancanza di altri richiami, nell’assenza di offerte di democrazia più solide, convincenti, all’offerta grillina cedono.
Per restituire la democrazia ai suoi fondamenti liberali, cioè allo Stato di Diritto, i democratici dovrebbero fare l’unica cosa che non fanno: partire dai fondamenti dello Stato di Diritto, bonificare dei suoi elementi autoritari lo Stato liberale, depurare la democrazia reale – elettorale e istituzionale – delle sue contraddittorie manipolazioni. E invece di limitarsi a denunciare Rousseau, ragionino sulla componente digitale della democrazia, si concentrino sulle regole, investano sulle garanzie. La tecnologia è un dato di fatto, non solo una minaccia. La partecipazione democratica invece è una necessità. Se la si teme è un problema, per la democrazia.
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