Partiti e politici

In Sicilia gli elettori puniscono la discarica dei vecchi poteri

15 Giugno 2015

Da oggi in Sicilia nessuno può più dirsi al sicuro. Sono caduti tutti. Il governatore della «rivoluzione» Rosario Crocetta a Gela. Il sottosegretario alfaniano Giuseppe Castiglione a Bronte. L’ex ministro Salvatore Cardinale, ex dc in sella dagli anni ’80, a Mussomeli. Il viceré di Enna Vladimiro Crisafulli.

I mammasantissima del Pd, ciascuno nella propria forma e nei propri feudi, inesorabilmente crollano. Ma è una sconfitta cocente anche per Matteo Renzi che dappertutto ha trasferito la rottamazione fuorché nei luoghi inaccessibili delle clientele meridionali. È un discorso che ovviamente riguarda anche la città di Roma e la Campania di De Luca, ma che nella Regione di Crocetta e nelle disastrate amministrazioni di Leoluca Orlando a Palermo e di Enzo Bianco a Catania, assumono i contorni di un disastro antropologico, ancor prima che politico.

Ecco quindi un ceto politico risultato consunto ancora prima che vecchio. Per dirla con lo storytelling renziano, non ha fatto la rottamazione né ha cambiato verso ma è rimasto incancrenito in liturgie che ricordano la stagione di Raffaele Lombardo, che il duo Crocetta e Lumia considerava «una costola della sinistra». Basti pensare ai 33 assessori di Crocetta in tre anni, all’aumento della spesa regionale, al balletto sul taglio delle indennità degli “onorevoli”, agli sprechi in ogni angolo dell’isola, alle nomine degli amici degli amici. Alle sanatorie di berlusconiana memoria a pochi giorni dai ballottaggi.

Alcune operazioni politiche che nei fatti hanno anticipato quello che poi sarebbe successo con le liste di De Luca in Campania. Dalla rottamazione alla raccolta indifferenziata, insomma. Lorenzo Guerini, vice segretario nazionale del Pd, si è recato a Catania per benedire l’ingresso degli ex cuffariani nel partito del Nazareno. Salvatore Cardinale, ex ministro nei governi di Massimo D’Alema, come conviene alla tradizione democristiana, si è destreggiato creando un partito ad hoc, Democratici riformisti (la sigla dice tutto), dentro cui sono confluiti “personaggetti” (copyright Maurizio Crozza) che negli anni del berlusconismo la sinistra schivava etichettandoli come “impresentabili”. Non nel senso bindiano del termine, però.

In questo quadro si è consumata una campagna elettorale in cui i cinquestelle l’hanno fatto da padroni, conquistando comuni importanti come Augusta e Gela (cittadina di Rosario Crocetta), mentre i notabili del Pd si sono ritrovati coperti di fischi nelle piazze in cui hanno comiziato. Nell’unico capoluogo di provincia al voto, Enna, il centrosinistra ha perso. Anzi, ha straperso: non succedeva dagli anni dello strapotere democristiano. D’altro canto, perfino quando Berlusconi totalizzava il 61 a zero a Enna dominava con percentuali da capogiro il barone “rosso” Vladimiro Crisafulli. Lo stesso che dichiarava di poter vincere in qualunque forma elettorale: “Proporzionale, maggioritario e pure con il sorteggio”. E non importa se il Pd renziano si sia tenuto a distanza di sicurezza dell’“impresentabile” Crisafulli. Perché quando si è trattato di eleggere Crisafulli segretario del Pd di Enna non ha battuto ciglio.

Così oggi il ballottaggio rovina la festa e la carriera del Viceré di Enna. Una spia per il Partito democratico siciliano, ma anche per il Nazareno. Come lo è altrettanto la cocente sconfitta nella culla del crocettismo, Gela. Nel comune nisseno Domenico Messinese, candidato dei cinquestelle, fino all’altro ieri sconosciuto dai più nel territorio, surclassa il sindaco uscente democratico Angelo Fasulo, riconfermato fortemente dall’armata Brancaleone dei Crocetta e dei Cardinale. Tanto a poco è finita in una piazza da sempre termometro del trend della politica dell’isola.

Crolla un sistema di potere costruito sulle alleanze saldate fra una sinistra che si credeva o si spacciava per nuova e i vecchi potentati politici. Un sistema nelle precedenti settimane ha perso dalla filiera l’uomo forte di Confindustria, quell’Antonello Montante indagato per mafia dalla Procura di Caltanissetta. E  non si salva, come dicevamo sopra, nemmeno il faccione di Matteo Renzi. I siciliani che si sono recati alle urne dicono “no” anche alle politiche del velocista di Palazzo Chigi. Ma soprattutto alle logiche di potere che in queste tre anni hanno dominato, e che sono state avallate da renziani di primo pelo come il sottosegretario Davide Faraone. Il quale oggi resta in silenzio, come lo ha fatto nelle ultime due settimane. Convinto che il suo profilo, da renziano di ferro, sia spendibile per la corsa a Palazzo d’Orleans.

Ma siamo solo all’inizio di un lungo match che porterà alle elezioni regionali del 2017. Una corsa difficile oggi da decrittare perché il centrodestra è ancora frastagliato, il centrosinistra perde consensi e Renzi continua a snobbare il Mezzogiorno d’Italia. Al contrario, dopo un lungo letargo costellato da un’opposizione blanda a Crocetta & co, i cinquestelle si svegliano. E Comune dopo Comune, oggi conquistano anche Augusta, e sono pronti a lanciare l’Opa sul parlamento più vecchio d’Europa.

 

Twitter: @GiuseppeFalci

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