Partiti e politici
Siamo tutti renziani, satira (sur)reale sulle categorie del renzismo
In tempi di renzismo è giusto che il giornalismo analizzi il fenomeno. A cominciare dalle principali categorie di renziani che si vedono in giro (e molto anche sul web).
Il renziano doc. Da piccolo ha sognato di diventare astronauta, ma dopo la prima Leopolda ha cercato annunci di lavoro per un posto di sfasciacarrozze. Il suo sogno è quello lavorare come rottamatore. Ma l’impresa non gli è riuscita, appositamente per imitare il suo leader. Il look è inconfondibile: mette la camicia bianca anche in spiaggia; quando ha caldo al massimo tira su le maniche. Da qualche settimana ha smesso di dire “vado a lavorare”, adesso dice “vado a jobbare”. Sulla cartina geografica ha corretto la scritta Italia con Italicum. Si fida sempre quando Matteo dice “Stai sereno”.
Il renziano convertito. Dopo una vita a difendere più o meno D’Alema, sostenendo che “però è un grande stratega. E poi è intelligente”, ora – denotando una capacità di analisi simile allo scatto di un bradipo – dice che D’Alema “è supponente”. Ha sostituito le magliette del Che con alcune camicie bianche. “Ma solo perché mi stanno bene”, si difende da chi lo deride. Per anni ha criticato la flessibilità e si è scagliato contro il conflitto di interessi. Poi ha votato il Jobs Act ed è diventato un fiero sostenitore dell’alleanza con Alfano. È così convinto del cambia verso, che cambia direzione al primo soffio di vento contrario. Cose turche, insomma.
Il renziano (della prima ora) deluso. Ha frequentato la prima Leopolda con l’entusiasmo di un 20enne che firma un contratto a tempo indeterminato (prima del Jobs Act). Ora però non vuol sentire più nominare Renzi. Di notte ha gli incubi, nella testa avverte l’eco “zione, zione, zione” del sostantivo “rottamazione”. Quando un amico gli ha confessato che voleva chiamare suo figlio “Matteo”, lo ha cancellato da Facebook, bannato su Twitter e avvertito la Polizia che quello – il suo ex amico – era una persona socialmente pericolosa. Intanto studia il greco con la speranza di poter votare Alexis Tsipras. Ma è venuto a conoscenza del fatto che probabilmente si voterà tra molti anni in Grecia. Allora ha avviato un corso intensivo di spagnolo. Vuole provarci con Podemos. Quando in tv passano le immagini del presidente del Consiglio, lui afferra lo smartphone e inizia a vedere video streaming di fermo immagine su Periscope.
Il renziano con i distinguo. Il suo stato d’animo è la rassegnazione. Sa che il Jobs Act non è quello che ci voleva. Né tanto meno le riforme costituzionali. Ma – sostiene lui – qual è l’alternativa? Tende a criticare tutti gli altri provvedimenti del governo. Tutti. Ma poi ammette che li voterebbe, perché qual è l’alternativa? La sua tendenza è quella di dissentire da Renzi, sempre e comunque, scuotendo il capo e biasimando il presidente del Consiglio per l’uso eccessivo di termini inglesi. Anche perché il maggior numero delle volte non ne capisce il significato. Per questo, a scanso di equivoci, voterebbe le leggi contenenti espressioni inglesi storpiate.
L’anti renziano. Per rivendicare la sua posizione ha detto a tutti di voler rifiutare gli 80 euro. Ma dopo aver appreso che era impossibile, si è dichiarato vittima di un complotto ordito da Confindustria, Cia e Bce unite. Ha macchiato tutte le camicie bianche e, specie in Toscana, ha studiato un corso di dizione. Quando, grazie al Jobs Act, il datore di lavoro gli ha offerto un contratto a tempo indeterminato, lui ha rifiutato dicendosi affezionato al co.co.pro. Di fronte all’insistenza del capo, si è dichiarato prigioniero politico. Successivamente ha provato a capire qualcosa nelle urla di Beppe Grillo, cercando nel vocabolario del paleolitico. Ma lì ha solo capito che l’homo salvinus è lo stop all’evoluzione della specie. Scruta se a sinistra si muove qualcosa. E ha ricordato che sta scrutando da almeno 20 anni.
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