Partiti e politici
Siamo alla sinistra subculturale?
Da qualche anno, ormai, l’intero schieramento delle forze politiche della nazione sembra essere composto da una sola unica destra, all’interno della quale, considerata l’orribile omologazione culturale, i partiti si distinguono per le banalità esemplari proferite dai loro leader, talvolta più rozze, altre volte meno disarmanti. Una sinistra perpetuamente in divenire, come quella italiana, che ha tranciato con disinvoltura ogni legame col passato più glorioso e significativo, tanto che un pensiero di Gramsci o una posizione morale di Berlinguer striderebbero fortemente con la sua attuale linea di condotta, ha finito per assumere la forma dell’acqua, adattandosi alle linee di qualsiasi contenitore che abbia un peso specifico. E, come l’acqua, la sinistra, una volta rinunciato a una configurazione e passata a liquefazione, ha necessità di essere contenuta, delimitata e plasmata da un sistema di potere inclusivo, sì da esistere in una forma incongrua che va modellandosi agli umori e alla volontà di chi l’ha predisposta all’imbottigliamento e ne dispone. La sinistra priva di P (fosforo) e in versione H2O (acquetta) riempie le otri del potere fine a se stesso, lasciando a secco la pianta dell’ideologia. Fuor di metafora: la sinistra per anni, imperterrita, si è spostata sempre più da un lato, e, passando per il centro, dove ha sostato per prendere fiato, ha continuato la sua corsa verso destra, occupandovi un posto e un ruolo che andrebbero ufficializzati e non mantenuti in una posizione equivoca e ingannevole.
Retta da troppo tempo da un meccanismo interno invalicabile, dove la partita dei soliti notabili ha avuto gioco facile, la sinistra è un’area, che, in barba alla tradizione, si presenta priva di qualsiasi sovrastruttura culturale, e individua all’esterno punti di riferimento intellettuale assai discutibili: spesso, infatti, a rappresentarla sono scrittori, scrittrici e artisti in genere notoriamente modesti. Oggi, la sinistra è un laboratorio dilettantistico di acritici pensatori, disarmanti strateghi, impersonali dirigenti. Manca di anime e menti in grado di interpretare in maniera consona la base ipercritica, cresciuta a dismisura rispetto al suo apice, sprofondato, ormai, in una sorta di sonnambulismo intellettivo che ha del grottesco. E, non meraviglia più di tanto che la sinistra italiana, quasi a compimento di un percorso perverso e deleterio, sia ridotta, ormai, a uno strumento persuasivo di resistenza al cambiamento. Lontana dall’essere una forza sentimentale e ideologica, proiettata verso i diritti e le esigenze dei progressisti, sembra ritrarsi, in un frangente storico quanto mai delicato, di fronte alla naturale possibilità di tradurre in politica, responsabilmente, l’insofferenza popolare tanto tangibile, preferendo fungere da deterrente alla voglia massiccia di neutralizzare il sistema politico dominante e mettendosi di traverso sulla strada dell’innovazione. Pare proprio che la sua lontananza dalla realtà e dai problemi sociali ne contrassegni il nuovo corso, relegandola a un ruolo di contenimento dell’insoddisfazione generale, senza più accoglierne bisogni e necessità. Eppure, il ruolo degli intellettuali nell’organizzazione politica è sempre stato un tema tipico della sinistra, che non può essere accantonato e considerato démodé. Tutti possono constatare come la “sinistra” (questa volta tra virgolette) contemporanea italiana abbia enormi difficoltà a decifrare la storia, la società, le fasi dell’economia e della politica mondiali. Da quanto tempo non prende posizioni chiare e inequivocabili in dispute morali, filosofiche e letterarie? Chi garantisce, oggi, la dignità culturale di quell’area? Povera patria! Così, per dire.
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