Partiti e politici

Sì al Mes e al lockdown: la guerra di Dario per puntare al Quirinale

22 Ottobre 2020

Per conoscere Dario Franceschini, per capire il ministro della Cultura, per anticipare una delle ultime teste pensanti dei palazzi della politica, bisogna osservarlo da vicino, ascoltare ogni sua dichiarazione e prenderne nota. Chi ancora non lo sapeva lo ha imparato nell’estate 2019, quella del Papeete. Ben prima che Salvini tra un mojito e una cubista rinunciasse all’avvenire che aveva in mano, Franceschini dice al Corriere che 5 Stelle e Lega non sono della stessa pasta, che coi primi il Pd poteva e doveva parlare. Apriti cielo: Renzi subito prende le distanze, Zingaretti arriva un secondo dopo. Com’è finita, beh, lo sappiamo.

Franceschini, come è noto, non si scompone mai, non proferisce mai una parola di troppo pubblicamente e, in particolare, si muove con nonchalance nei dietro le quinte, nei vertici ad oltranza fino a notte fonda. E, va da sé, nelle ore in cui la seconda ondata del Covid prende forma, il  democristianissimo per eccellenza del governo Bis-Conte si è messo in testa che la corsa al Quirinale, alla successione del moroteo Sergio Mattarella, è cosa difficile ma non impossibile. L’allievo di Benigno Zaccagnini tesse così una tela che da Palazzo Chigi arriva fino all’alto Colle. «Il suo sogno è arrivare lì… Lavora solo a quello», è il graffio di un ex dirigente di piazza del Piazza Gesù che frequenta il quartier generale di colui che definisce “l’amico Dario”.

È vero, la corsa è lunga. Manca più di un anno al grande ballo del Quirinale. Ed è altresì vero che «in conclave chi entra papa rischia poi di uscire cardinale», non fa altro che ripetere quella parte di ex dicì che fa il tifo per un altro erede della Balena Bianca, Pierferdinando Casini. Nell’attesa l’eterno Franceschini, che gode nel palazzo un gradimento trasversale – i berlusconiani, ad esempio, dicono «perché no?» -, si gode la scena, attraversa il Transatlantico, alza le spalle e lascia intendere che esiste la possibilità di un patto di legislatura senza Conte. Dunque, l’obiettivo iniziale è quello di indebolire Giuseppe Conte, snervare l’avvocato del popolo, condurlo a un rimpasto o ancora meglio all’uscita da Palazzo Chigi. Da qui l’asse con il ministro della Salute, Roberto Speranza, nel segno del rigore, della fermezza, con l’intenzione non certo celata di prefigurare un nuovo lockdown, o comunque una stretta sulla movida, sui weekend, sulle libertà individuali. Insomma, una sorta serrata a metà che il premier scongiura, ma “l’amico Dario” gradirebbe. Eccome, se gradirebbe. L’operazione politica è alquanto difficile perché dall’altra campo l’avversario è assai ostico. La storia, d’altro canto, è dalla parte di Giuseppe Conte, il due volte presidente del Consiglio, prima con la destra sovranista di Matteo Salvini, poi con il partito di sistema di Nicola Zingaretti. Non è allora un caso se il due volte presidente del Consiglio ha già preparato la contromossa: flirta con Roberto Gualtieri, il potentissimo ministro dell’Economia e si serve del premier spagnolo Sanchez, per dire no alla linea di credito del fondo salva Stati, l’arcinoto Mes, e non ha alcuna intenzione di cedere ai diktat di Franceschini e company. Proprio sul Mes, insomma, Franceschini schiera il Pd come fosse la linea del Piave: che ne diranno i Provenzano, i Boccia, quei ministri del Pd più attenti alle ragioni culturali del Movimento 5 Stelle? Vedremo, di sicuro Conte è consapevole che a questo punto della scena nella corsa al Quirinale c’è anche il lui: il sottovalutato della storia della Repubblica italiana. L’allievo di Zac è avvertito.

 

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