Partiti e politici

Sessanta milioni di orfani

27 Dicembre 2019

Che cosa causa maggiormente negli ultimi anni l’attitudine psicologica allo scontento e alla depressione di questo paese? Di certo una situazione internazionale molto confusa, precaria, incerta, dove non s’intravedono dei grandi orizzonti; ci s’intristisce anche per una crisi climatica che s’intuisce, sebbene non si comprenda bene che cosa voglia dire, con guru adolescenti e non che si ergono come punti di riferimento e indovini. E poi guerre e spostamenti in massa di profughi e un’Europa che mostra segni di stanchezza e di disgregazione non aiutano una situazione interna che si fa fatica a capire veramente. È pur vero che ci sono stati momenti peggiori nella Storia del mondo, in cui ci si poteva permettere di essere davvero depressi, e si potrebbe parlare di disagio attuale come una specie di hobby per bambini viziati.

Però si avverte che, nel nostro piccolo e provinciale paese, manca un qualcosa ma nessuno è in grado di focalizzarlo fino in fondo. C’è una sorta di nostalgia di una presenza che si ha quasi pudore a pronunciare. Si percepisce come l’attesa di qualcuno, forse un messia che riesca a programmare un piano che convinca fino in fondo. Grillo ci ha provato coi suoi vaffa e i suoi istrionismi che sembrano giunti al termine, infrangendosi inevitabilmente sugli scogli della realtà: gli sciami di stelle cadenti non si contano più; Renzi tentò col suo iniziale fare piacione, trovando delle simpatie momentanee per chi non lo conosceva e franando rovinosamente per troppa superbia tutta paesana e anche per l’abilità, tutta paesana anch’essa, di circondarsi di persone sbagliate; il Capitano ci prova colle sue alterne nutelle e i suoi rosari, i suoi slogan e i suoi inesauribili selfie, i suoi numeri in spiaggia, cerca perfino di incarnare una figura paterna dichiarando che ha sessanta milioni di figli, ma anche lui sta stancando, tant’è che in funzione antilega si ammassano centinaia di migliaia di sardine riempiendo le piazze, sebbene abbastanza inerti e ancora incerte; il PD cerca di cavalcare Greta (non fraintendetemi), imitato da molti altri, essendo l’ecologismo una tigre sempreverde ma assai difficile da comprendere realmente e soprattutto da mettere in pratica; la sorellastra d’Italia prova a racimolare archeologici ardori religiopatriotticofamiliari; ma manca sempre qualcosa. E Forza Italia, che sembrava inossidabile, perde pezzi a gogò, in caduta libera. Però, onestamente, è da dire che tutti i partiti in realtà perdono pezzi, cercando di riaggregarsi in qualche maniera, come dei naufraghi che si accorgono che la loro zattera è in pessime condizioni e salgono su altre zattere vicine finché reggono. Sembra il gioco del Ruba Posto, una corsa a si salvi chi può.

Che cosa manca a questo popolo di santi, di navigatori, di artisti, di poeti, di musicisti? Forse mancano proprio gli ultimi. I santi restano sempre quelli, anzi, ogni tanto il papa ne aggiunge qualcuno perché il papa questo fa, e quelli non mancano, ce n’è fin troppi. Manca la fantasia di veri artisti. Tra poco dirò una cosa tremenda che mai e poi mai mi sarei aspettato di pronunciare vista l’avversione per un certo sistema che ha imperversato in Italia per troppi anni, ma a sessant’anni compiuti s’inizia a rigovernare un po’ i pensieri, le idee, i ricordi, le conoscenze, si butta tanta zavorra perché lo spazio e il tempo sono sempre meno, e quindi si cerca di ottimizzare. E, sgomberando, le cose si fanno più chiare.

A pensarci meglio manca, però, non solo la fantasia,. Mancano delle persone in grado di catalizzare questa sconfinata e polimorfa follia creativa tutta italiana, anche se può apparire un luogo comune, e di luoghi comuni ne abbiamo visti fin troppi nel mio intervento precedente, stimolato dalla rilettura di Flaubert. Inoltre Flaubert viveva a Parigi nella seconda metà dell’800, quando Parigi era, in crescendo, un vortice di novità e invenzioni, davvero un gran bel posto dove lasciare la fantasia a briglia sciolta.

L’Italia di oggi è un po’ triste ma non perché sia meno bella, anzi, si sono fatti molti miglioramenti in città che pochi anni fa sembravano dimenticate da tutti, soprattutto al Sud. Diversi luoghi hanno ritrovato il proprio genius loci e l’hanno invitato a cena per discutere sul da farsi. Lui li ha rimproverati aspramente per averlo trascurato così a lungo: che aveva fatto per meritarselo, in fondo, era sempre stato lì, in attesa di essere riconosciuto. Una volta chiariti gli equivoci, luoghi come Napoli, Palermo, Catania, Ragusa, Siracusa, Trapani, Bari, Lecce e i territori a loro circonvicini, pur tra alti e bassi, hanno avuto una specie di altra primavera e bene o male, avviati certi sviluppi, qualche frutto si è visto.

Però non basta per un paese articolato come l’Italia e per un popolo ancora più articolato. L’italiano è abbastanza incontentabile, va detto. È viziato, voglio questo, voglio quello, e si mangia così e ci si veste così eccetera. Non basta ancora pur se questi aspetti, che possono sembrare secondari, in realtà sono identitari. C’è qualcosa in più delle processioni dei santi protettori e di certi precetti religiosi assolutamente disattesi, come il commettere atti impuri, non desiderare le donne (e gli uomini) e la roba degli altri… Certo, le feste vanno santificate, accipicchia, e come si deve! Non basta.

State pronti perché stiamo per svelare che cosa è venuto a mancare in questo paese. Tenetevi forte perché ciò che sto per dire non vi piacerà e già so che mi attirerò ire funeste.

A questo paese manca Berlusconi.

Carro allegorico in un carnevale tedesco

 

Per favore, lasciatemi spiegare. Sì lo so che è un’affermazione colossale e se mi amate andrete avanti a leggere per capire il perché abbia detto una simile sconcezza, ma io mi sono limitato a osservare. Soprattutto, nel riordinare i ricordi, mi sono accorto di avere notato da vicino e da lontano l’attitudine di tante persone che lo hanno adorato come si fa con san Gennaro o con santa Lucia, che gli hanno offerto le figlie in sacrificio perché ne facesse delle principesse, senza manco pensare che lui potesse essere un Minotauro, che dopo le sue passeggiate in Costa Smeralda ne imitavano le bandane e gli atteggiamenti lascivi, in un’atmosfera di libertà dei sensi che non si era mai conosciuta prima in misura così sfacciata.

Ciò che il Cavaliere disarcionato ha compiuto, in mezzo a mille nefandezze innominabili e carsiche, delle quali esistono fascicoli e fascicoli nelle procure, è stato anche, e questo gli va riconosciuto, aver dato a un popolo che voleva illudersi proprio questo: l’illusione.

La sua propensione all’illusionismo e alla spettacolarizzazione, ad ogni costo, senza rispettare anarchicamente canoni di supposta eleganza o buon gusto, che non interessavano alla maggior parte del pubblico, è stata la qualità per cui è stato evidentemente scelto come l’uomo del cambiamento e aiutato da poteri oscuri: la P2, Propaganda 2, la loggia massonica deviata a cui era associato, che vuol dire tutta una serie di poteri nazionali e sovranazionali, su cui in questo momento non è interessante soffermarsi. Anche perché esistono saggi, articoli, interviste dove questi legami osceni sono molto più approfonditi ed esaurienti. È più proficuo, in questa sede, osservare i comportamenti e le sue tattiche commerciali per sedurre perfino l’anziana massaia di Venegono o quella di Petralia Soprana, ma allo stesso tempo i ragazzi di Jesolo o di Molfetta, o l’operaio di Castel Mella e il salumiere di Praia a mare, tutti insieme appassionatamente a cantare “Meno male che Silvio c’è”, anche ai raduni, e a manifestare il loro disappunto per la sua assenza attuale, sopraggiunta anche per limiti d’età. Ma non è l’età l’ostacolo che impedirebbe all’ex Cavaliere un nuovo ritorno in scena. È che è proprio cambiato lo scenario locale e internazionale. Ma andiamo per gradi.

Berlusconi ha saputo incarnare il bisogno di sognare dell’italiano medio e, come lui, non l’ha saputo fare nessun altro se non un personaggio carismatico come Benito Mussolini quasi un secolo fa. Beninteso, tempi diversi, popoli diversi, situazione storico-geografico diversa, aspirazioni diverse, possibilità diverse, ma ci sono interessanti analogie tra i personaggi e i popoli di allora e di oggi. La voglia comune di quei popoli remoti tra loro ma abitanti lo stesso suolo era quella di identificarsi in qualcosa. Il superuomo italico, ben diverso da quello tedesco – che declinò tutto, alla fine, in un disastro sociale, economico, ideologico, bellico, totale, trascinando il mondo intero wie ein Held zum Siegen -, aveva dalla sua una serie di stereotipi su cui fondare un’identità che sarebbe piaciuta al suo popolo disordinato. Un popolo che aveva bisogno, dopo una guerra sanguinosa e un’epidemia come quella dell’influenza spagnola, che aveva decimato città e campagne, di formare sé stesso, cosa che l’operettistica monarchia sabauda non era riuscita a fare in nessuna maniera nonostante cinquant’anni di conquista di tutti i territori dal sud al nord della penisola. E Mussolini lo fece dando agli italiani un sogno, a cui abbinò le sue virtù personali. Naturalmente i sogni costano, ma allora la percezione dei costi era forse meno spiccata di quella odierna. Costò assai caro ‘sto sogno, visti gli esiti. Parlando coi vecchi scoprivo che alla fine, all’epoca, la maggior parte della gente si accontentava di ciò che aveva e che se qualcosa in più ci si poteva permettere era la provvidenza che l’inviava. E l’uomo della provvidenza, secondo Pio XI, era il Duce. Soprattutto dopo i Patti Lateranensi. Storie di emigrazioni, di vite dure, di colonie andate a male, ma sempre coll’idea trascinante e illusoria di un futuro migliore, di un posto al sole, che sfavillava glorioso sull’Impero. Non mi soffermo, qui, ad analizzare tutte le sfaccettature (nere) dell’era fascista perché sennò non si finirebbe più. Ciò che mi premeva era carpire le somiglianze tra i due personaggi solo per comprendere un po’ meglio gli italiani e le figure che loro tendono a identificare come carismatiche e interessanti, a cui essere ciecamente devote, senza possibilità di ragionarci su e di capire che stiano realmente facendo.

Il Cavaliere d’Italia ha proposto quindi un sogno agli italiani moderni, anche qui abbinandovi le proprie virtù personali. Sognava sempre, “Ho fatto un sogno…” usava dire. Gli italiani erano un po’ irrigiditi e delusi dopo Mani Pulite, dopo la Milano da bere che aveva caratterizzato e aperto le porte a un’era plausibilmente edonista, l’aspetto che più sembra interessare gli italiani. In un paese protestante questo non sarebbe potuto avvenire ma in un paese cattolico, dove il peccato è sempre l’ambito ospite d’onore in qualsiasi convivio, tanto poi ci sono i condoni, i perdoni, le indulgenze e il paradiso è garantito a tutti, l’edonismo è la chiave per sedurre le masse. Peccare senza neanche provare piacere, d’altro canto, è perverso.

Chi ha identificato in Berlusconi l’uomo adatto per il momento storico lo ha osservato attentamente nelle sue attitudini imprenditoriali e comportamentali, annotando le sue doti empatiche, spiritose, la barzelletta sempre al momento giusto, come se tutto fosse un copione di una commedia all’italiana, genere molto amato dal pubblico, affezionatissimo ad attori come De Sica, Manfredi, Sordi, Totò, i De Filippo, Bramieri, e poi Volonghi, Lollobrigida, l’immensa Loren, i grotteschi personaggi di Fellini e Germi, tutto un ambiente di caricature che comunque sono caratteri che si ritrovano nella vita quotidiana degli italiani. L’illusione, ben architettata, era quella di farlo sembrare uno di loro. E allora il presidente, pur restando il presidente, nota bene, cambia cappello e diventa operaio, gelataio, ferroviere, col sorriso smagliante e con un apparato mediatico che mai nessuno, manco Stalin, ha posseduto e che immaginiamo sia costato una fortuna; e poi vanta ed esibisce le sue amicizie con attori, attrici, registi, e si mostra ovunque sulla stampa da lui controllata con Stallone, con Gorbaciov, Bush, Clinton, Putin, perfino con Gheddafi, con chiunque sia il vip del momento. Le esibisce generosamente, come a dire, li condivido con voi, sono anche amici vostri. Questo agli italiani piace e li diverte, perché li fa, appunto, sentire orgogliosi di esserlo e, soprattutto, simili a lui potenzialmente, anche perché, da attore consumato, riesce a far passare il messaggio che si è fatto tutto da solo (figuriamoci!). Ci cascano in molti, vecchi e giovani. Mentre c’è chi vorrebbe la Padania libera, pur alleato di Berlusconi ma in minoranza perpetua, anche manifesta perché nessuno ha la simpatia e il carisma che il Cavaliere sprigiona, lui unisce Nord e Sud coi fondoschiena delle ballerine e i lustrini delle sue tv, coi prezzi giusti della Zanicchi, colle telenovelas, coi Drive In e con Emilio Fede. Naturalmente vince lui, altro che Padania. La dolce vita sta a Roma (altro che Roma ladrona), mica solo a Milano, e poi sta in Costa Smeralda, sulle barche in giro per le coste italiane, a Portofino, a Capri, altro che. E lo mostra in ogni momento al pubblico, che s’illude di vivere questa vita di persona: come se all’uomo della strada, baciato dalla fortuna, potesse capitare, nel paese delle meraviglie che Berlusconi dirige e per cui è stato eletto, di avere come lui le decine di donne ai suoi piedi, mentre molte signore, sognando di poter solo essere sfiorate dal nume, addirittura mandano avanti le giovani figlie, molto apprezzate dal sultano. Le mille e una notte.

Questo mondo edonista è proprio ciò che infervora l’italiano medio, intriso di cultura machista, che caratterizza anche parecchie donne, alcune delle quali amano il cliché della bambola gonfiabile, anche se poi nel loro intimo non lo sono, ma a cui piace giocare quel ruolo per far fessi gli uomini (’A sonnambula ch’è ’na bambola…). D’altro canto un machismo simile era esibito da Mussolini, pieno di amanti celebri più o meno visibili, ma tutte protese a farlo figurare come una divinità. Il Latin Lover è una figura di spicco dal dopoguerra in poi, pure messo in caricatura nella commedia all’italiana da Mastroianni o Gassman, ma alla fine sempre una figura vincente perché quello ricercavano le turiste nordiche che affollavano le riviere italiane d’estate, donne assai più libere delle nostrane, a quell’epoca. Del resto Italians do it better, è proprio un motto di quegli anni da bere diffuso da Madonna. Il divo Silvio elargiva pertanto fiorellini a questa e a quella, fino ad arrivare alle cene eleganti, dove si raggiunge il parossismo ma sempre con una certa ammirazione da parte del suo pubblico. E nelle famose intercettazioni che si trovano su youtube i dialoghi deliranti, che non sono altro che copioni ben congegnati dai suoi sceneggiatori, scritti per sembrare veri ai meno accorti, le cose che si dicono lui e la Minetti, per esempio, sono esilaranti. E, soprattutto, credute come autentiche dalla maggior parte dell’uditorio. Tutto fatto per distogliere l’attenzione da ciò che invece andava nascosto e di cui mai si sarebbe parlato al telefono. Ma anche tutta la vicenda Ruby Rubacuori, con questo nick da agente segreto dell’amore, è talmente grottesca che alla fine risulta assai spassosa, come la serata in caserma a Milano. È un copione da film di Steno. Io mi sono fatto delle risatissime, perché notavo come gli italiani ci credevano e s’infervoravano prendendo spesso le parti del Cavaliere. Perfino il Parlamento, per questa vicenda, ha votato a favore del Cavalierissimo, roba da non credere.

L’edonismo era comunque la sua chiave, anche se spesso era un edonismo da quattro soldi. In apparenza. In realtà costava assai di più di quattro soldi ma l’impressione era quella dell’accessibilità: nella parte gastronomica le cene eleganti consistevano, secondo ciò che affermava al telefono la Minetti, nella pasta tricolore, al burro, al pomodoro e al pesto! Ed è proprio ciò che manca oggi: una o più figure che privilegino la sensualità, che è la porta che accede direttamente al cuore dell’italiano medio, maschio e femmina, è ciò che manca. Non ce l’ha nessuno. Il Capitano ci prova ed esibisce altro, ma di sensualità proprio non è maestro, è una squallida sinopia, nonostante le foto ignude e in compagnia della soubrette televisiva (ormai archiviata), pseudo amicizie con amici Putin (lui vorrebbe farci credere…) e, sebbene i sondaggi lo diano per vincente, le masse si aggregano verso di lui unicamente perché non c’è più il Cavaliere, che coi suoi eccessi aveva tuttavia farcito il bisogno di edonismo dell’italiano peccatore. Come in tempo di autarchia, non essendoci più il caffè lo si fa colla cicoria.

“IL SOGNO DEGLI ITALIANI” (2012), scultura in cera degli artisti Antonio Garullo e Mario Ottocento. Fu esposta a palazzo Ferraioli, di fronte all’abitazione romana dell’ex presidente del Consiglio.

Ma c’è anche di più, l’immagine di felicità a disposizione di tutti e di facile raggiungibilità che il Cavaliere è riuscito a trasmettere ha superato ogni limite nazionale e ha ammaliato perfino le popolazioni confinanti. Colla televisione si arriva ovunque, basta proiettare le antenne verso la Tunisia, l’Albania, l’Europa dell’Est ed ecco che anche gli altri popoli, che fino a quel momento avevano vissuto tempi difficili, iniziarono a vedere sbigottiti i lustrini di una commedia musicale di Garinei e Giovannini e pensarono che l’Italia fosse il Paese dei Balocchi. E ovviamente credettero, come Pinocchio e Lucignolo, che tutto fosse gratuito e che il benessere in Italia, e nell’Occidente in generale, fosse la condizione permanente grazie ai politici che governavano il Paese dei Balocchi. E iniziarono ad arrivare. Poi, pian pianino, si resero conto che tutto aveva un costo e che era difficile permettersi un livello di vita così alto, e a prezzi che loro non immaginavano nemmeno. E si resero presto conto che nemmeno gli italiani avevano in maggioranza quello stile di vita sfrenato. Ma l’idea dell’edonismo possibile attraverso il tocco del Re Mida resta tuttora viva, ed è per questo che, ancora oggi, il Cavaliere ha dei nostalgici, come quei giovani che lo incrociano allo stadio, l’odierno santuario dei giochi sacri di cui il Cavaliere è stato il gran sacerdote per molti anni col suo Milan, e lui racconta barzellette, come fa sempre, per concludere che “Adesso devo lasciarvi perché devo andare a puttane”, fra le acclamazioni generali. E un’inevitabile simpatia, perché caricatura di sé stesso creata con una sapiente e spontanea autoironia.

Il personaggio che, ad ogni modo, esisteva già fu perfezionato da un mago della comunicazione, ben istruito dagli Stati Uniti, dov’era nato. Il vero artefice dell’illusionismo e mentore del Cavaliere fu Mike Bongiorno. Stigmatizzato ironicamente in un memorabile Diario minimo di Umberto Eco, il Mike nazionale fu figura carismatica e simpatica al grande pubblico per le sue gaffe e i suoi quiz. Era in realtà un’astutissima volpe e comunicatore d’eccezione il quale, una volta finita l’avventura in RAI, venne immediatamente captato dal Cavaliere perché il presentatore lo facesse diventare il suo capolavoro, oltre naturalmente a dar lustro a tutte le sue televisioni. Une delle tante cose che gli insegnò fu l’importanza delle gaffe e di come rendono simpatico il soggetto che le compie.

Ora, il paese attraversa una fase di tristezza notevole, dovuta sia alla situazione interna che globale, come abbiamo visto, e anche le sardelle che si stipano in piazza sono di una tristezza che metà basta. Il nodo della questione sta proprio nel fatto che non c’è alcuna figura con un pensiero felice, con un carisma e una carica vitale come l’ex-Cavaliere, per quanto detestabile e fasullo potesse essere. Nemmeno un comico di professione come Beppe Grillo, che dopo un po’ diventa stantio, è capace di tanto. E Grillo ha avuto anche lui dei mezzi mediatici ed economici notevoli, certo non come quelli di Mediaset né case editrici né panfili né ville sarde con teatri all’aperto e corpi di ballo e sceneggiatori e antenne puntate fino sulla luna, ma comunque c’era Casaleggio alle spalle e poi ha avuto un notevole seguito grazie anche allo sberleffo, un mezzo retorico della commedia che ha sempre avuto un certo successo. Ma non basta a un popolo che necessita di un costante palcoscenico per esibire l’italianità, che volenti o nolenti è parte della cultura di questo paese, soprattutto dopo che è stata creata e codificata nell’ultimo secolo. Soprattutto lo sberleffo di Grillo è nulla se paragonato agli sberleffi in tempo reale e senza copione di Berlusconi nei confronti dei potenti, come alla Merkel, la “culona inchiavabile” che ha fatto aspettare sull’uscio vari minuti, apposta, mentre lui telefonava o faceva finta di telefonare, o quando faceva cucù nelle foto di gruppo ai G8, o quando urlava Mister Obamaaaa! assordando la regina Elisabetta, sconvolta dall’assenza totale di etichetta del presidente italiano. Lo sberleffo era ancora agitare lo spettro dei comunisti quando ormai erano scomparsi, e gli italiani gli credevano. “Vivere, senza malinconia” “Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza” le celebri canzoni del regime, inneggianti al vitalismo mussoliniano, alla spensieratezza, all’eterna giovinezza, che Berlusconi, con tutti i suoi fard, le sue plastiche, i capelli tatuati in testa e il suo circondarsi di adolescenti discinte, in qualche modo evocava e cercava di riprodurre coll’immagine del tempo fermo, ecco il suo sberleffo agli italiani. Chi può permettersi più di questo? Solo Alberto Sordi! E a un popolo di persone anziane, a cui lui soprattutto si rivolgeva, la giovinezza e il tempo cristallizzato ma ben arredato erano la chimera affettuosa da corteggiare.

La disperazione degli italiani nel non trovare più alcuna figura carismatica del calibro di un Berlusconi, capace di illuderli ancora una volta anziché farli maturare è senza via d’uscita. Pensiamoci bene, gli inglesi hanno la famiglia reale che ne combina da sempre di tutti i colori e riempie i tabloid e anche quelli di Monaco ne facevano di cotte e di crude pure loro. Noi avevamo la berlusaga che col  bungabunga surclassava qualsiasi famiglia reale europea anche perché le riviste scandalistiche erano tutte di Berlusconi e con fior di sceneggiatori per narrarla. Perfino Una storia italiana era la perfetta autobiografia di propaganda autoprodotta con una quantità di immagini e di schemi e organigrammi di ogni suo possedimento che mai nessuno al mondo è riuscito a eguagliare e, soprattutto, esibire così sfacciatamente. Un genio della comunicazione, anche perché è stato il primo di tutti a fare una cosa così capillare in tempi moderni. Senza la minima ombra di pudore, questo è il bello e questo è proprio ciò che ha incantato un popolo di gossipdipendenti.

Non c’è nessuno all’orizzonte, ma neanche un grande moralizzatore, a questo punto, nemmeno una figura opposta a quella dell’edonista totale che, per assurdo, forse potrebbe scioccare le masse e distoglierle dall’effimero. Ciò che caratterizza l’epoca, e non solo da noi, è la mediocrità. Gli intellettuali, quelli veri, non i saltimbanchi da salotto televisivo, sono chiusi nelle loro torri eburnee a prepararsi una stoica e lenta dipartita; né le case editrici disponibili sulla piazza offrono opere di pensatori che possano scuotere un minimo le teste delle persone, anche perché quasi tutta l’editoria è basata sulla televisione e sul mondo che vi circuita intorno. Perfino il cinema italiano è assai impregnato di televisione, così come il teatro. Emerge poco o assai poco. Il controllo berlusconiano e piduista dei mezzi espressivi e materiali delle arti rappresentative è stato fatale e, a lunga gittata, ha giocato contro il berlusconismo, perché una volta che il Cavaliere non ci sarà più, l’orfanità sarà compiuta. E non resta nulla, questo è il bello dell’artificio, anche perché è tutto un mondo virtuale. Non ha costruito né monumenti né teatri né niente, come invece ha fatto Mitterrand. E non ha costruito, soprattutto, una successione, anche perché era impossibile. Tutto finirà con lui, naturalmente a spese della comunità che nel frattempo è stata depredata col proprio consenso. Ma il vuoto che lascerà e che ha già lasciato è palpabile. Un vero pezzo di bravura e uno sberleffo totale. Sembra il sorriso dello Stregatto che resta nel buio per qualche istante e poi svanisce anch’esso.

 

© dicembre 2019 Massimo Crispi

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