Partiti e politici
Senza la svolta di Conte, il MoVimento è finito
Era il lontano 2007, quattordici anni orsono. Chi se lo sarebbe mai aspettato allora che il Movimento 5 Stelle, fondato poi ufficialmente da Beppe Grillo poco tempo dopo, all’indomani della sua (provocatoria) candidatura alle primarie del Pd, diventasse in pochi anni la forza politica più votata nel nostro paese? Un successo che prese abbrivio nel 2012, l’anno della svolta, quando si afferma il tema centrale, la critica feroce alla classe politica, e inizia la sua rapida ascesa elettorale, culminata con il volo – da molti inaspettato nelle sue dimensioni quantitative – delle elezioni politiche del 2013. Ed è diffusa la percezione che il successo del M5s in quel frangente sia dovuto in primo luogo alla sua capacità di esprimere la protesta contro tutti i partiti e contro il governo.
Nonostante l’approfondita articolazione delle proposte contenute nel programma del movimento, due sono i tasselli fondamentali del successo di Grillo e del M5s in quelle elezioni e in quelle successive del 2018, che ne hanno decisamente mutato il corso dei consensi: la crescente crisi dei partiti, anche quelli più radicati territorialmente (Pd e Lega sopra tutti), nella loro capacità di “parlare” agli elettori ed il deciso incremento delle critiche degli italiani nei confronti delle forze e del ceto politico nel suo complesso. I 5 stelle divengono il principale interlocutore e referente di quel disagio, di quel malcontento, in un evidente ruolo di opposizione a tutta la “casta”, a tutta la classe politica.
Dopo aver sperimentato per 2-3 anni un ruolo nettamente alternativo, diventando movimento di governo, è venuta definitivamente meno quella condizione iniziale. Oggi, di fronte alla evidente crisi di consenso, con un elettorato che per quasi la metà si è già rivolto in particolare ai partiti cosiddetti sovranisti e/o populisti, come la Lega e Fratelli d’Italia, il M5s ha di fronte a sè due strade percorribili, plasticamente identificabili con i protagonisti dell’attuale scontro interno: Grillo da una parte e Conte dall’altra.
Il primo vorrebbe tornare in qualche modo all’imprinting genetico: un movimento aperto e non chiaramente strutturato, pungolo costante all’operato dell’establishment. Il secondo vorrebbe trasformarlo secondo modalità più classiche, con una classe dirigente competente e con un programma ben definito per i prossimi anni a venire.
Detto in soldoni: Grillo vuole una forza che torni a fare opposizione “movimentistica”; Conte che vada a proporsi come possibile “partito” di governo. Le due posizioni sono in qualche modo incompatibili, inconciliabili, e vanno ben oltre un gioco di potere personalistico, sebbene in parte ci sia anche questo.
Il percorso dei 5 stelle è quello ben descritto da Max Weber quasi un secolo fa e riproposto da Alberoni negli anni Settanta: dallo “stato nascente”, il movimento, all’istituzionalizzazione. Dopo gli anni iniziali, per poter sopravvivere, una forza movimentista deve trasformarsi in qualcosa di più solido, meno liquido (per dirla alla Bauman), che faccia proposte complessive sulla società e su un disegno del futuro comprensibili.
Dopo aver trascorso anni nelle istituzioni con un ruolo di potere, tornare a fingere di essere un movimento alternativo alla classe politica sarebbe incomprensibile alla stragrande maggioranza di elettori o di ex-elettori, e rischierebbe di farlo precipitare ad un livello di consenso drammaticamente basso, fino quasi alla irrilevanza, se non alla scomparsa.
L’unica possibilità per avere una vita futura è la strada inversa: riprendere magari le 5 stelle originarie (acqua pubblica, ambiente, mobilità sostenibile, sviluppo e connettività) e farle diventare un programma politico preciso e ben identificabile.
Università degli Studi di Milano
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