Calcio

Senza i mondiali di calcio gli Italiani avranno tempo per fare la rivoluzione?

21 Novembre 2017

Visto che l’Italia non si è qualificata ai mondiali 2018 «finalmente è la volta buona che facciamo la rivoluzione». La battuta è tratta da Spinoza.it, il famoso blog satirico collettivo, e si riferisce al luogo comune secondo cui gli Italiani hanno poco interesse per la politica e per i problemi del Paese perché sarebbero troppo occupati a pensare al calcio.

Tuttavia ogni stereotipo ha qualche elemento di verità e poiché già secoli fa Giovenale, il grande poeta satirico latino, assicurava che panem et circenses, cioè pane e giochi del circo, è la formula per distrarre le masse dai “veri problemi”, viene da chiedersi se davvero, senza i mondiali, cioè i circenses per eccellenza dell’Italia di oggi, gli Italiani avranno tempo e modo di fare la rivoluzione. O se si occuperanno di più dei problemi del Paese. Tra l’altro il 2018 è l’anno delle elezioni politiche e quindi quale occasione migliore per cambiare le sorti della Penisola?

Abbiamo girato la domanda provocatoria al professor Enzo Risso, direttore scientifico di Swg, istituto di sondaggi.

Vedremo presto gli Italiani costruire barricate nelle piazze?

«In realtà in questo momento il 41% di loro vuole la rivoluzione, intendendo con ciò un cambiamento radicale e profondo del Paese. Il 48% invece è pro riforme e i restanti sono indecisi».

Un dato molto alto.

«E in forte crescita, se si considera che nel 2011 chi chiedeva la rivoluzione era il 28%».

Da dove origina questa domanda di cambiamento radicale?

«Nasce non solo dalla lunga crisi economica, ma anche dalla conseguente caduta dell’ascensore sociale. Infatti nel 2003 quasi il 70% degli Italiani si sentiva ceto medio, oggi invece il 44%. Altro aspetto è che la globalizzazione ha dispiegato una serie di problemi, in primis la finanziarizzazione dei mercati e la difficoltà degli Stati a intervenire con politiche di sostegno all’economia nazionali».

Ora però il Pil italiano è in aumento e la crisi è passata.

«Sì ma quei problemi non sono superati. Inoltre nell’opinione pubblica cresce la paura verso il nuovo cambiamento in corso, cioè industria 4.0: c’è l’idea che la società diventerà più precarizzata, controllata e povera».

Ma allora, senza i mondiali a “distrarre”, la rivoluzione si farà o no?

«Il tema non è tanto se i mondiali avrebbero narcotizzato questo bisogno di rivoluzione, perché c’era già da prima ed è in aumento da anni. Le conseguenze della mancata qualificazione sono altre».

Quali?

«Sicuramente la sconfitta mette sotto gli occhi di tutti un dato di fatto: che nella fase contemporanea non si può sperare sempre di cavarsela, di aggrapparsi a soluzioni raffazzonate, di stringersi intorno all’idea che noi Italiani, in qualche modo ce la caviamo sempre. Caduta e questa speranza, diviene chiaro che, nella competizione globale attuale, o ci sei, hai capitale umano adeguato, hai idee e creatività, investi sulle persone e sul cambiamento, oppure, se ti giochi sempre sul filo del “io speriamo me la cavo” o, peggio se scegli qualche scorciatoia, magari della chiusura protezionistica, non vai da nessuna parte».

Quindi il calcio è la metafora del possibile futuro economico e sociale del Paese.

«In un certo senso sì, perché nella futura economia globalizzata e robotizzata o hai capitale umano capace di giocare in attacco e stare sempre in avanguardia o finisci in serie B».

E allora facciamola, questa rivoluzione.

«La spinta al cambiamento c’è, ma sappiamo che, quando si arriva all’atto pratico, l’Italia è il Paese corporazioni in cui ognuno difende il proprio orticello, quindi si fa sempre una rivoluzione azzoppata».

Secondo lei cosa succederà?

«Questo dipenderà dalle scelte che saranno fatte da qui ai prossimi anni e il tema non riguarda solo classe politica ma tutta l’élite dirigente del Paese. Se Atene, cioè la politica, piange, Sparta, cioè il resto della classe dirigente, a partire dagli imprenditori, non ride. Bisogna rimettere in moto la voglia di fare e innovare. Bisogna formare persone, fare alleanze e massa critica, e non proteggere il proprio orticello».

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