Partiti e politici
Senatrice Segre, la forza della democrazia rende compatibili lei e Almirante
Viene ancora ricordato quel 9 maggio del 1996, giorno di insediamento della Camera dei Deputati. Luciano Violante, il Presidente dell’Aula, decise di fare i conti con la Storia. Nessuno prima di lui lo aveva fatto. «Mi chiedo – queste le sue parole – se l’Italia di oggi non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri. Non perché avessero ragione, o perché bisogna sposare, per convenienze non ben decifrabili, una sorta di inaccettabile parificazione tra le due parti. Bisogna sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e della libertà. Questo sforzo, a distanza di mezzo secolo, aiuterebbe a cogliere la complessità del nostro Paese, a costruire la Liberazione come valore di tutti gli italiani, a determinare i confini di un sistema politico nel quale ci si riconosce per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese, di battersi per il suo futuro, di amarlo, di volerlo più prospero e più sereno. Dopo, poi, all’interno di quel sistema, comunemente condiviso, ci potranno essere tutte le legittime distinzioni e contrapposizioni».
A distanza di quasi 24 anni, due cose colpiscono. Una è enorme, una è apparentemente piccola. Quella enorme è la forza della democrazia. Che permette a tutti i suoi cittadini, disse Violante quel giorno, di qualunque ragione politica, “per il semplice e fondamentale fatto di vivere in questo Paese”, di considerare le terribilità della Storia, le sue infamie, per quello che davvero sono state e consegnate alla memoria condivisa. Di sapere perfettamente quale Storia ha vinto e quale storia ha perso e già “solo per il fatto di vivere in questo Paese”, condizione semplice ma necessaria per sentirsi un cittadino pienamente consapevole dei propri diritti e delle libertà.
La seconda cosa, apparentemente piccola, fu una sottolineatura. Che sul momento venne poco dibattuta, ma che poi, negli anni successivi, tornò inevitabilmente in superficie. Parlando di chi evidentemente sbagliò, scegliendo Salò “quando tutto era perduto”, Violante sottolineava un dato: “Migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze”. Soprattutto di ragazze. Perché ha detto “soprattutto ragazze”, gli chiede Mario Ajello sul Messaggero nel 2015? «Numericamente, più giovani donne che giovani uomini scelsero Salò – risponde Violante -. Forse perché le donne hanno, nelle scelte, una durezza maggiore che in quel caso impedì loro di capire da che parte stava la libertà».
Se c’è una ragazza che ha perfettamente chiaro da che parte sta la libertà è proprio Liliana Segre, la senatrice Segre. La scelta del presidente Mattarella di portarla in Parlamento non è stata esclusivamente simbolica. Ed essere un simbolo della devastazione della Storia è solo un aspetto del suo laticlavio. La senatrice Segre è un rintocco etico costante, vivissimo, incessante. Una combattente per la libertà, anche in tempo di pace. Lo si è visto a più riprese, nei giorni in cui si dibatteva della sua commissione, ma soprattutto quando gli instabili del web hanno cominciato a minacciarla. Fieramente, la ragazza Segre si è messa alla testa dei cortei, essendo lei medesima la nostra scorta morale. Una forza. Si è anche sottratta, in modo elegante, alle lusinghe salviniane quando il Capitano ha cercato di tirarla in mezzo a un convegno sull’antisemitismo. “Ho altri impegni per il giorno della Memoria”, ma bravo, continui su questa strada, è sembrato dirgli col sorriso.
Non ha più sorriso, invece, quando il comune di Verona ha pensato di darle la cittadinanza onoraria con una decisione unanime del consiglio comunale. Perché lo stesso consiglio comunale, con una decisione non all’unanimità, qualche giorno prima aveva deciso di intitolare una strada a Giorgio Almirante. Il commento di Liliana Segre è stato lapidario: «Una via Almirante a Verona? Oh, povera strada! Mi chiedo se sia lo stesso comune. Le due scelte sono di fatto incompatibili, per storia, per etica, per logica. La città di Verona, democraticamente, faccia una scelta e decida ciò che vuole, ma non può fare due scelte che sono antitetiche l’una all’altra. Questo no, non è possibile!».
L’autodeterminazione di Liliana Segre è ovviamente assoluta. Laddove non riscontri le necessarie garanzie, è nel pieno diritto di rifiutare qualsiasi onoreficenza. Ma è anche nel pieno diritto di mettere il comune di Verona di fronte al dilemma: o io o Giorgio Almirante? Su questo, ci consentirà la senatrice, ci permettiamo di dubitare. Ha parlato di scelte “incompatibili” e certo, cosa c’è di meno compatibile di storie come quella di Segre e Almirante? Ma in questo, come in altrI casi, è proprio la forza della democrazia a rendere “compatibili” storie apparentemente inconciliabili. È proprio perché sappiamo bene, luminosamente, chi ha vinto e chi ha perso, che la democrazia può permettersi il gesto alto, dolorosamente alto, di “riconoscere“ lo sconfitto. È ciò che mosse il discorso di Luciano Violante in quel maggio ’96, quando invitò a “riflettere sui vinti di ieri”.
La democrazia è un sistema che mette in sicurezza esattamente i nostri dubbi, le nostre perplessità, che ci invita a fidarci di lei anche quando concede qualche credito a persone che in linea di principio non lo meriterebbero. In questi casi, la democrazia ci chiede uno sforzo di comprensione apparentemente inconciliabile con le nostre idee più radicate, radicate nella storia e nel dolore vissuto, ci chiede di comprendere ben oltre le nostre forze. E se non lo facciamo noi, se non riusciamo a farlo noi che siamo umanamente fragili, la democrazia si deve rivolgere proprio ai suoi simboli più significativi, quelle figure chiave che in virtù della loro storia possono volare sopra le nostre incertezze e i nostri tormenti, tranquillizzandoli dall’alto della loro saggezza. Quelle figure sono Liliana Segre.
Ecco perché crediamo che Liliana Segre e Giorgio Almirante siano “compatibili” all’interno di un tessuto democratico com’è il nostro. Ecco perché una via Giorgio Almirante a Verona non è scandalosa, avendo, la storia, già definito i conti con chi ha vinto e con chi ha perso. Non ci si può costruire il Paese a nostra immagine e somiglianza. E non dobbiamo temere la storia. Dobbiamo anche magari ricordarla meglio, se parliamo di Giorgio Almirante.
Il quale è stato parlamentare della nostra Repubblica, regolarmente votato in regolari elezioni, sin dalla sua prima legislatura, quella del ’48, e per le successive dieci. Le idee, molte delle quali orrende, di Giorgio Almirante sono sempre state note. La democrazia, quella forma delicata e intricata di condivisione sociale, fu un tessuto così impregnato di etica che decise che poteva comprendere al suo interno anche Giorgio Almirante con le sue idee. Non fu semplice, non è stato semplice. Venne creata anche quella formula dell”Arco costituzionale” per definire il perimetro della democrazia e tenere fuori gli estremisti come il Movimento Sociale (e altri). Poi, arrivò Bettino Craxi, il solito visionario, a cui quella formula sembrò frusta e così cominciò un dialogo con l’estrema destra. Per arrivare a quei sei incontri “segreti” tra Enrico Berlinguer e Giorgio Almirante, negli anni duri del terrorismo. Per finire con quel saluto storico e clamoroso, varcando il Bottegone, nell’estremo omaggio alla bara del leader del Pci.
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