Partiti e politici
Seguiamo il filo di Arianna, ma non dimentichiamo cittadinanza e Autonomia
Eravamo abituati, per dovere professionale e ruolo istituzionale, a seguire i passi di Giorgia. L’estate del 2024 ci ha invece raccomandato di tenere d’occhio il filo di Arianna. Pensate che solo una settimana fa, la sorella più famosa d’Italia sembrava vittima di un complotto mediatico e giudiziario, che al momento parrebbe sventato dalla solerte e preventiva denuncia del direttore del Giornale Sandro Sallusti. Una settimana dopo dell’indagine per traffico di influenze a carico di Meloni Arianna continua a non esserci traccia – ma magari emergerà tra un po’, chissà – e tuttavia la stessa sorrella della Presidente del Consiglio è in prima pagina con grande costanza e regolarità, per tutt’altre questioni. Venerdì, un’inchiesta del quotidiano il Domani rivelava che la Fondazione Alleanza Nazionale, della quale Arianna Meloni è consigliera di amministrazione, ha finanziato un’associazione neofascita per acquistare le mura nelle quale ha sede lo storico circolo missino di Acca Larenzia, simbolo tragico della militanza neofascista che ricorda l’identità degli anni di piombo. Non ha un ruolo decisivo, dicono Arianna e i suoi amici, nella decisione: ma in quel CdA intanto ci siede, ed è quel CdA che supervede le decisioni di un’organizzazione.
Chissà se è una coincidenza, ma il giorno dopo venerdì, cioè sabato, Arianna Meloni è ancora sulle prime pagine, questa volta quella del Foglio. Si parla anche di politica, della volontà di fare una scuola di politica di destra: ma insomma, la notizia del giorno è decisamente un’altra, quella che dice che lei e Lollo(brigida), Francesco, ministro dell’Agricoltura del governo della sorella, si sono lasciati, anche se ancora condividono la casa. Pensate che bell’ambiente doveva esserci, in masseria, fino a pochi giorni fa, quando le due sorelle d’Italia si trovavano lì, in “vacanza”, assieme ai due ingombranti ex. Di certo, in due casi su due, la vita privata è insieme una fatica che diventa pubblica, e un discorso pubblico che ne nasconde altri, tutti politici, di sicuro più rilevanti per le vite di tutti noi.
Non mancherebbero, infatti, le ragioni di riflessione sul momento politico che viviamo, e che attraversiamo proprio sulle spalle di questo governo due volte meloniano. La settimana che si chiude, parlando di politica e ancora di famiglia, ma in un altro senso, ha continuato a far girare il dibattito attorno a due parole importanti, diverse, solo apparentemente lontante tra loro: cittadinanza e autonomia differenziata. Lo Ius Scholae, Soli, Sanguinis, da un lato, per parlare di una riforma dei criteri di cittadinanza; e quella, già approvata e “minacciata” da un referendum popolare, del rapporto tra stato centrale e autonomia regionale, la cosiddetta “autonomia differenziata”.
Sembrano – e per molti versi davvero sono – questioni diverse e lontanissime tra di loro. Eppure, a ben pensarci, entrambe riguardano le ragioni per le quali un paese è un paese, una nazione si definisce tale. Interrogano le radici del nostro stare insieme come comunità istituzionalizzata, che è chiamata al voto, a pagare le tasse, a frequentare la scuola dell’obbligo, a considerarsi insomma luogo dei cittadini. Sono questioni e dibattiti serissimi, che stanno alle fondamenta dell’edificio della politica democratica, e che da noi, anche nei giorni scorsi e sicuramente in quelli che verranno, sono invece stati trattati come clave a disposizione delle piccole propagande: anzitutto di quelle interne a una destra che sta insieme per governare, ma poi fa molta fatica a stare insieme, governando.
Partiamo dall’autonomia differenziata. Il cavallo di battaglia della Lega, voluto da Salvini per ricucire con la storia e la dirigenza nordista di un partito che aveva portato a Sud, al nazionalismo spinto e a destra nella prima parte della sua segreteria, è il frutto maturo di un percorso iniziato venticinque anni fa, e per mano del centrosinistra. Il centro sinistra di Prodi, D’Alema, Bassanini che, temendo la concorrenza della Lega Nord di Umberto Bossi, riformò l’ordinamento istutizionale e costituzionale in maniera da consentire – perdonate la semplificazione – che anche le regioni a statuto ordinario potessero godere delle preprogative e dell’autonomia di cui godono quelle a statuto speciale. Quelle riforme, risalenti appunto alla legislatura iniziata nel 1996 e finita nel 2001, nella quale si alternarono tre governi di centrosinistra, hanno reso possibile e legittima la riforma firmata da Roberto Calderoli in questa legislatura. È insomma un’apertura del centrosinistra alle istanze leghiste a rendere possibile, oggi, una riforma che il centrosinistra avversa compattamente, pur con sfumature diverse, mentre la destra che governa sostiene con alterne convinzioni. In particolare, diversi governatori di centrodestra del sud, pur pressati e vagamente minacciati dai loro compagni di coalizione, sostengono in ogni sede il referendum per abrogare la legge Calderoli. E all’interno del governo le sensibilità sono diverse, come inevitabile quando gli interessi rappresentati, anche territorialmente, sono molto diversi tra di loro. Perchè è piuttosto ovvio che Luca Zaia e Giorgia Meloni hanno storie diverse, rappresentano mondi e territori differenti, e gli interessi primari di chi vota l’uno o l’altra sono secolarmente confliggenti.
E che dire, invece, del surreale dibattito sui criteri per acquisire la cittadinanza italiana? Un paese che ha oltre il 10% di immigrati regolari, con realtà come Milano nella quale gli stranieri sono addirittura il 20%, centinaia di migliaia di bambini e ragazzi che riempiono scuole che altrimenti sarebbero lo specchio del deserto demografico generato da noi nativi, un paese che senza il lavoro dei migranti non avrebbe, semplicemente, abbastanza lavoratori, almeno in certe aree del suo territorio. Ecco, quel paese, il nostro, di come si diventa cittadini, diritti e doveri inclusi, dovrebbe davvero discutere seriamente. Non significa essere sicuramente favorevoli allo Ius Scholae, proposta comunque dotata di senso, e sostenuta tra gli altri dalla quieta spina nel fianco che sta diventando Tajani. Per iniziare ci si potrebbe perfino accontentare del fatto che, come chiede Luca Zaia, al compimento del 18esimo anno, e magari non solo per chi è nato qui ma anche per chi ha fatto qui 10 anni di scuola, ci sia davvero un automatismo nell’assegnazione della cittadinanza, invece di sottoporre questi ragazzi, italianissimi, alla prima italianissima e pluriennale trafila burocratica della loro vita. Per un paese che sembra vivere a metà Novecento, quando gli unici migranti erano italiani del sud o del nordest che andavano nelle città, e gli altri se ne andavano, sarebbe già un passo avanti, per quanto insufficiente.
E invece no, neanche di questo si può parlare. Perchè – spiega Salvini – tutto questo non è nel programma di governo “votato dagli italiani”. La verità, se solo lui e Meloni volessero dirla, è che hanno paura di perdere i voti di chi è di estrema destra senza neanche saperlo. I voti di chi vive con la testa in un passato che non c’è più. Se mai fosse stato davvero così bello, quel passato, non ritornerà. Il tempo dei Paesi Tuoi che, per chi ricorda un grande romanzo di Cesare Pavese che portava questo titolo, così bello poi non era. Il tempo delle comunità che stavano tutte insieme dalla culla alla tomba, e a volte la prima era più scomoda della seconda. Il tempo nel quale gli italiani li riconoscevi dai tratti somatici, per dirla con un Generale che ha purtroppo scoperto di avere passione per la politica.
È quell’Italia che si e ci racconta che c’è la dittatura delle minoranze, riferendosi ai gay, e soprattutto agli immigrati e a chi li aiuta. Sarà bene ricordare a tutti loro che un generale seguito in ogni piazza reale e virtuale da truppe di pensionati e più giovani perdigiorno di scarsa alfabetizzazione non è ancora una maggioranza. Sarebbe bene che se lo ricordasse anche Giorgia Meloni. Che vive con terrore l’idea di avere nemici a destra. Eppure, come sanno tutti, per diventare grandi bsiogna uccidere a un certo punto i padri. E pure i nonni.
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