Partiti e politici
Se un partito diventa Stato: il caso del libro anti-Lega
Negli ultimi giorni, ha scatenato un certo dibattito un libro di testo adottato nella facoltà di Scienze Politiche di Bologna, nel quale gli autori definiscono la Lega una “formazione di estrema destra, con tratti razzisti, xenofobi, politicamente e socialmente violenti”. Il libro, titolato “La Lega di Salvini, estrema destra di governo” e scritto da G. Passarelli, docente alla Sapienza, e Dario Tuorto, associato di Sociologia Generale a Bologna, è finito subito nel mirino di diversi esponenti del Carroccio.
Marco Petazzoni, consigliere regionale della Lega, ha ad esempio presentato un’interrogazione in merito, accusando di mancanza di imparzialità “un testo che attacca un partito politico votato e voluto in maniera democratica dalla stragrande maggioranza degli italiani“ e spingendosi a “ricordare che i Professori sono dipendenti pubblici e come tali sono tenuti a un dovere di lealtà verso lo Stato, indipendentemente dalla forza politica che si trovi al Governo”.
L’attacco di Petizioni ai due autori, seppur chiaramente legittimo, è in realtà utile per mettere in chiaro alcune idee e concezioni della democrazia che ne emergono. Prima di tutto, occorre notare che il fatto che la Lega sia stata votata democraticamente da molti elettori non può essere un argomento che la metta al riparo da critiche o visioni opposte: anzi, il grado di maturità di una democrazia si misura anche in base a quanto una minoranza può contestare una maggioranza. In quest’ottica è fin troppo facile per i due docenti difendere la loro libertà e la loro autonomia facendo riferimento alla Costituzione e alla libertà di ricerca. Soprattutto, non esiste la “stragrande maggioranza” di cui parla Petazzoni, dato che alle politiche del 4 marzo la Lega non ha superato il 50% dei consensi e non è nemmeno risultata primo partito: è, insomma, essa stessa tecnicamente una minoranza. Che la Lega sia oggi parte della maggioranza di governo è innegabile, ma questo non la rende automaticamente maggioranza del Paese. Anzi, questo modo di ragionare, che scambia la parte per il tutto, è proprio di quell’estrema destra che il testo dei due docenti associa alla Lega.
Ovviamente, è possibile sollevare qualche obiezione sull’opportunità politica di adottare un determinato testo in una facoltà, ma si entrerebbe così in tutt’altro ordine di ragionamento. Quale che sia la posizione in merito, però, risulta campata per aria la pretesa che il sapere debba essere imparziale. Non si capisce, infatti, come qualunque insegnamento, o docente, o scienza, tanto più se non si è nel campo delle scienze esatte, possa non essere in qualche modo portatore di una qualche visione del mondo.
La questione si fa ancora più spinosa quando Petazzoni si spinge a vedere nella critica alla Lega una mancanza di lealtà verso lo Stato di due docenti, e quindi di due dipendenti pubblici. Qui, infatti, la critica alla Lega viene letta come critica allo Stato. Il problema, però, è che (sempre in una democrazia matura, di cui prima) un partito non si identifica mai con lo Stato. Se infatti un partito è un’organizzazione che rappresenta determinati cittadini, nelle democrazie liberali lo Stato non si identifica mai con i singoli partiti, che anzi attraverso il Parlamento e le istituzioni tutte concorrono alla vita democratica. Non è un caso del resto che le uniche realtà in cui il Partito e lo Stato hanno coinciso sono stati i regimi totalitari del Novecento. Criticare un partito, anche se al Governo, non equivale in nessun modo a criticare lo Stato, e la confusione che emerge dalle dichiarazioni di alcuni leghisti in merito alla faccenda è abbastanza emblematica di un modo malsano di intendere la democrazia.
In effetti, le argomentazioni con cui si accusano gli autori del libro poggiano tutte su schemi di pensiero tipici della destra illiberale, in ciò confermando la tesi iniziale dei due docenti. Oltretutto, gli stessi schemi si attivano quando un leader di partito indossa divise di forze dell’ordine (che, sempre nelle democrazia liberale, tutelano tutti i cittadini e non sono strumentalizzatili da singoli) o quando si stabiliscono alleanze con partiti esteri che dichiarano espressamente di riconoscersi nell’estrema destra illiberale. Chiaramente, alla piena libertà dei docenti di criticare la Lega corrisponde la piena legittimità politica, da parte della Lega stessa, di prendere le sue posizioni, pur nei limiti e nelle forme della Costituzione. Ma in base a quale principio, criticare la Lega dovrebbe voler dire criticare lo Stato?
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