Partiti e politici
Se oggi in politica per insultare si dice «renziano»
Dunque la questione sarebbe se l’aggettivo “renziano”, rivolto a chicchessia, possa essere equiparato a una sorta di insulto, come punto di caduta finale tra opportunismo, sete di potere, trasformismo e ogni altra perversità il lettore avrà il buon cuore di aggiungere. Se ne duole Luigi Zanda, che renziano della prima ora non fu e che poi passin passino si fece addirittura capo senatore, pensando soprattutto a quella minoranza interna che agita (parzialmente) i sonni del presidente del Consiglio. «Da uno che non ha votato alle primarie e non è renziano – dice Zanda – trovo scandaloso che l’aggettivo “renziano” possa essere usato come un insulto all’interno del Pd».
La questione lessicale, ma anche di sostanza, riveste una certa importanza e non può essere contenuta nei confini stretti della semplice sinistra, giacché l’insulto degli insulti – per un numero di lustri consistenti – venne identificato nel suo nobile padre, e cioè «berlusconiano». Attenzione a non incorrere nell’errore che molti, ancora oggi, fanno. Allora, quel termine non spaccava in due come una mela le fazioni, tra chi orgogliosamente se ne appropriava nel bene, e chi lo considerava il male assoluto. No. Per diversi anni, quattro o cinque almeno dall’emergere del fenomeno, dunque dal ’94, anche chi amava il Cavaliere in modo luminoso non riusciva a dirsi compiutamente e orgogliosamente “berlusconiano”, sapendo il carico problematico che il personaggio portava con sé, in termini di racconto sociale. Questo fenomeno, che stranamente è sempre stato poco analizzato dagli studiosi, doveva avere certamente radici profonde, probabilmente riconducibili a una sorta di “conoscenza” diffusa del personaggio, che per la sua complessità e per la sua storia personale non sembrava restituire quella immediata condizione democratica per cui potersi inorgoglire immediatamente delle sue parole e delle sue azioni.
Ci vollero invero diversi anni perché il suo popolo potesse esprimere, a petto in fuori, tutti i sentimenti di riconoscenza e di ammirazione che il Cavaliere meritava e, se vogliamo, a spingere gli elettori a dirsi (orgogliosamente!) berlusconiani fu proprio la sinistra, quasi interamente votata a un antiberlusconismo così becero e poco produttivo da provocare naturalmente la ben nota reazione eguale e contraria. A quel punto, senza essere inutilmente Michaela Biancofiore, persino la semplice casalinga di Voghera ebbe finalmente il sottile piacere di definirsi berlusconiana anche facendo la spesa al supermercato.
Con Matteo Renzi siamo ancora agli inizi ma certi segnali, come la sottolineatura del senatore Zanda, inducono a pensare che il soggetto potrà offrire buonissimi spunti sotto questo aspetto. Il primo dato interessante da capire è se, appunto, c’è già un popolo che ha l’orgoglio di dirsi pubblicamente “renziano”, come non fu il popolo berlusconiano, almeno per i primi anni. C’è una prima, evidente, differenza: Renzi è il leader della sinistra e la destra non è organizzata. Nel senso che la destra, almeno in questo frangente, non è nella condizione di creare una corrente di pensiero strutturalmente anti-renziana, come la sinistra fece per il Cavaliere. Ma la risposta è che sì, esiste un orgoglio renziano ed è stato vivo da subito, dalle prime Leopolde che hanno aggregato un certo popolo, anche e soprattutto di giovani. L’esigenza di uscire dalla cappa di piombo di una politica orrenda ha incrociato questo giovane sindaco di Firenze, percepito immediatamente come una speranza.
Se possibile, oggi ci sono meno renziani aperti e consapevoli di quanti ce ne fossero un tempo, non tanto in termini numerici – quelli rimangono tanti, a votarlo – quanto nell’orgoglioso sentimento di identificazione. È subentrata inevitabilmente una certa realpolitik e la progressiva conoscenza dei caratteri psicosomatici del personaggio, che nel tempo ha esibito dosi variabili di cinismo, doppiezza, arroganza, ha inevitabilmente allontanato le pubbliche dichiarazioni d’amore.
È in questo tempo, seppur breve ma concentrato e intensissimo in termini politici ed emozionali, che è maturata quell’aggettivazione negativa del termine «renziano». Che nessuno, se non l’interessato ovviamente, meriterebbe in sé, perché veicolo non più virtuoso di aspettative politiche, ma più semplicemente di caratteristiche negative dell’animo umano. E questo “insulto”, poi, come lo chiama Zanda, è un concentrato di psicodrammi personali e collettivi, inglobando la grande domanda che moltissimi cittadini, di qualunque schieramento politico, si sono fatti in questo tempo: ma questo Renzi è veramente di sinistra? Ecco perché “taci tu, renziano!”, oggi viene letta come l’offesa massima, come il disvelamento del fellone che si spaccia per qualcuno o per qualcosa che non è.
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