Partiti e politici
Se Grillo lasciasse (davvero) la guida del M5S, sarebbe un esempio
Beppe Grillo, in uno dei suoi colpi di scena, ha annunciato il “passo di fianco” nel Movimento 5 Stelle. E per farlo ha scelto una “sede” giornalistica istituzionale: l’intervista a Il Corriere della Sera. Il suo ruolo, insomma, non sarebbe più quello di Capo politico (definizione che si è dato tempo addietro) ma di “uno dei tanti” attivisti. Perché, testualmente, il M5S non ha «bisogno di leader», secondo la solita musica ripetuta da tutti, parlamentari o semplici attivisti pentastellati. Al di fuori della retorica è un’uscita meritoria in linea di principio: Grillo si sente “un po’ stanchino” (come sostenne al momento della nascita del direttorio) e devolve i poteri ai volti più mediatici e piacenti, vedi Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista. Insomma, ha allevato la nuova generazione. E ora gli consegna l’onere del comando. Un’operazione da manuale.
Eppure le sue parole, che arrivano in seguito alla cancellazione del suo nome dal simbolo (un segnale che il processo è ragionato da tempo), hanno suscitato delle repliche perplesse, all’insegna delle critiche. Per il vicesegretario del Partito democratico, Lorenzo Guerini: «Grillo ha perso l’occasione di cambiare il Paese». Insomma, è iniziato il processo al comico diventato politico per la sua mossa di dedicarsi nuovamente al lavoro originario, sebbene la comicità grillina sia sempre stata avvolta da un alone di impegno civile e politica. Invece, se lasciasse davvero autonomia agli altri leader nascenti nei 5 Stelle – indipendentemente dal giudizio personale sulle loro qualità – Beppe Grillo andrebbe applaudito. Perché avrebbe fatto una cosa rara, quasi unica in politica: abbandonare la scena come promesso, dopo aver portato a compimento un progetto, che nel caso specifico è la nascita, lo sviluppo e il consolidamento di una forza politica. Che comunque ha i suoi meriti. Senza il Movimento 5 Stelle, infatti, la rabbia sociale avrebbe potuto prendere un’altra piega, decisamente meno pacifica. Mentre con il “grillismo” ha trovato una valvola di sfogo politica e istituzionale.
La questione del “passo di fianco” annunciato da Beppe Grillo rientrerebbe quindi nella casistica di leader politici che comprendono quando è il momento di lasciare spazio alle nuove leve. Una categoria in cui dovrebbe ovviamente entrare anche Gianroberto Casaleggio. Certo, questo non significa la totale sparizione dal dibattito pubblico (ci mancherebbe): è giusto che facciano sentire la loro voce quando ritengono opportuno.
Il problema, insomma, non sarebbe il passaggio di consegna ai vertici del Movimento 5 Stelle; bensì la preoccupazione latente che di fatto Beppe Grillo possa aver detto una cosa per poi ripensarci dopo qualche settimana (il tempo di terminare gli spettacoli in teatro) perché sente il “giocattolo” una proprietà sua o, peggio, possa ricoprire un ruolo “nell’ombra”, ossia nelle stanze in cui vengono realmente indicate le linee politiche. In questo caso ci sarebbe davvero un problema, anche in ordine di credibilità. Ma se fosse confermato il “passo di fianco”, la gran parte dei leader dovrebbero prenderne atto. E ammettere che è stato da esempio.
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