Partiti e politici
Se Berlusconi prima e adesso Renzi ci hanno tolto il dono della buona fede
Il dono della buona fede è essenziale e prezioso soprattutto in un’epoca di contrapposizione politica. Da noi manca da più di un ventennio. La malafede politica eretta a sistema è nata e cresciuta con Silvio Berlusconi, riconoscendogli mai (mai) nulla di quello che aveva fatto, poteva fare, avrebbe potuto fare. Riconoscendogli nulla anche nel campo delle (più buone) intenzioni, quando nemmeno uno dei suoi molteplici conflitti di interesse contrastava con quel che si dibatteva. Naturalmente la perdita della buona fede ha radici cromosomiche e democratiche piuttosto precise e ci si può disporre alla malafede in qualunque momento e con qualunque tempo, è sufficiente incontrare sulla nostra strada un soggetto che si presti alla bisogna. Berlusconi rappresentava la perfezione assoluta. Accompagnato da fama oscura personale e imprenditoriale, teorico maximo del partito-azienda, nemico primordiale dei comunisti, uomo al quale il successo travolgente non doveva essere riconosciuto per definizione (inserirei ma a puro titolo personale il più grande presidente della storia del calcio). Nel corso dei suoi anni politici, persone che abbiano esercitato serenità di giudizio nei confronti del Cavaliere si contano sulle dita di una mano. Ovviamente qui parliamo di persone con ruoli di rilievo all’interno della società. Ora sarebbe anche il tempo di stilare un consuntivo probabilmente spiacevole, capire cioè quanto la “disinvoltura” politica di Silvio Berlusconi abbia contribuito ad aumentare le nostre percentuali di malafede, per concludere – drammaticamente – che la nostra prevenzione lo precedeva abbondantemente. La conclusione è che sin dal suo avvento politico lo abbiamo considerato alla stregua di un delinquente matricolato. Da lì, tutto è venuto di conseguenza.
Un fenomeno di questo genere si sta riproponendo, con le debite proporzioni, con Matteo Renzi. E vista la dimensione davvero modesta (rispetto al Cav.) del nostro, la cosa appare ancora più inquietante. Qualche giorno dopo lo scontro televisivo sul referendum costituzionale tra il premier e Gustavo Zagrebelsky, Ezio Mauro ha avuto un franco scambio di vedute con l’amico costituzionalista. Il punto era la ben nota e sbandierata “deriva autoritaria” – l’unione tra referendum e Italicum – che porterebbe il presidente del Consiglio nella felice condizione, secondo i sostenitori del NO, di fottersene sostanzialmente delle istituzioni e fare un po’ come cacchio gli pare. Con la precisione sabauda che gli viene universalmente riconosciuta, l’ex direttore di Repubblica ha messo in fila, a uso dell’amico, le proprietà politiche e personali con cui Silvio B. ha navigato negli ultimi quarant’anni: legami con la mafia attraverso l’amico Dell’Utri, frequentazioni personali con soggetti mafiosi (lo stalliere di Arcore, Vittorio Mangano), il ciclopico conflitto di interessi tra aziende televisive che formano il consenso e la condizione di presidente del Consiglio, la volontà di mettere in ruoli nevralgici dello stato il suo avvocato galeotto, la patologica dipendenza sessuale degli ultimi anni con bagascioni d’ogni genere con il relativo pericolo per la sicurezza nazionale, gli innumerevoli processi e tanta altra minutaglia che non è qui il caso di rammentare. Un enciclopedico archivio di questioni sensibili che Ezio Mauro ha voluto mettere a disposizione di Zagrebelsky per evidenziare, senza neppure eccessivo sforzo, come fosse anche un po’ comico parlare di “deriva autoritaria” di Matteo Renzi, il quale non aveva praticamente mai lavorato in vita sua, veniva da un bar di Rignano come un provinciale a New York, non possedeva praticamente nulla che potesse essere configurato come conflitto di interessi, non risultavano sue frequentazioni davvero penalmente discutibili nè sessualmente problematiche.
Il punto è che l’attuale presidente del Consiglio, al pari del Cav., attrae energia cattiva. Spinge a una malafede preventiva, ancor prima che le sue (buone o cattive) intenzioni abbiano forma compiuta. Di questa malafede, non avendo egli una Storia, quanta responsabilità porta, ma soprattutto perchè sembra quasi compiacersene? Qui c’è un mistero. Una differenza, questa sì sostanziale con Berlusconi, appare evidente: Renzi ha rotto da subito con una parte importante della stessa sinistra, ha messo nel conto un distacco neppure tanto doloroso (per lui) immaginando di recuperare quei voti persi con innesti da destra e dal centro (operazione che non sta andando a buon fine) e probabilmente questa operazione così spavalda, disinvolta e in parte spericolata gli è costata. Una strada che Berlusconi non ha battuto, aggregando semmai da subito i fascisti che si ripulirono a Fiuggi e indicando Fini come possibile sindaco di Roma. C’è dunque un surplus di malafede che si agita su Matteo Renzi, ma in quale misura ha contribuito lui stesso ripudiando parte della sinistra?
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