Partiti e politici

Se Beppe Grillo non fosse Beppe Grillo

20 Aprile 2021

Se Beppe Grillo non fosse Beppe Grillo, un video pubblicato su Facebook con lo sfogo scomposto e rabbioso di un padre di fronte a tante pagine di giornali e a tanti servizi di telegiornali su un figlio accusato di stupro sarebbe quasi comprensibile; ma Beppe Grillo per decenni ha fatto delle gogne mediatiche la sua fortuna di uomo di spettacolo prima, di capo politico poi. Per decenni ha attaccato i “potenti” e la “casta”; oggi sfrutta la sua posizione e la sua visibilità per gridare al mondo l’innocenza di suo figlio: chissà quante madri e quanti padri con figli accusati di reati assai meno gravi vorrebbero poter fare lo stesso… chissà quante madri e quanti padri vorrebbero far parte della “casta” di cui fa parte Beppe Grillo.

Nel 1994, quel grande giornalista che era Andrea Barbato, in una delle celebri “cartoline” che inviava al personaggio a cui rivolgeva la sua attenzione, descrive così gli spettacoli mandati in scena allora dal comico: «Come fa, lei, ad assomigliare ogni sera alle sue platee, pur nel cambio di pubblico, di città, di società? Ci riesce centrando dei bersagli molto ovvi, inutili, comuni: una specie di minimo comune denominatore delle antipatie – peraltro finte – degli italiani…». A quel tempo Beppe Grillo telefonava in diretta al “potente” di turno e quando l’ignaro malcapitato rispondeva gli faceva gridare contro, da tutta la sala, un liberatorio “vaffanculo”. Anni dopo, quel “vaffanculo” sarebbe diventato la caricatura di un manifesto politico e quegli insulti gridati dalle poltrone in penombra si sarebbero riversati nel buio della rete, nelle grida senza voce digitate dai pulpiti social di migliaia aspiranti Savonarola. È nato così il “partito degli onesti”, i processi di piazza al grido di “ONESTÀ! ONESTÀ!”, la gogna virtuale ai cosiddetti intoccabili e ai loro privilegi. È durato poco, gli “onesti” sono oggi la brutta copia di quello che volevano combattere.

Le persone che finivano nel tritacarne mediatico del Beppe Grillo comico e, successivamente, del Beppe Grillo capo politico, che subivano le pulsioni di rabbia di quello stesso popolino che ora si sfoga con soggetti più “facili” come i migranti, ci finivano spesso per un avviso di garanzia emesso per accertare reati assai meno gravi dello stupro di cui oggi è accusato il figlio del comicoleader. Poco importa se poi, in molti casi, venivano assolti: agli occhi del popolino erano ormai marchiati a vita.

Se Beppe Grillo non fosse Beppe Grillo, non avrebbe mai colpevolizzato una donna che ha denunciato uno stupro mettendo in discussione le sue parole e il suo dolore per gli otto giorni di tempo passati tra i fatti da accertare e la deposizione di fronte alle forze dell’ordine; ma Beppe Grillo è quello di “Cosa faresti in macchina con Laura Boldrini?”, è quello che definì “vecchia puttana” Rita Levi Montalcini. Una deputata del suo partito, Federica Daga, ha così commentato le ultime esternazioni del comicoleader: «Come si fa a dire che una violenza non è violenza se viene denunciata otto giorni dopo? Io sono stata massacrata di botte e perseguitata da un uomo che sono riuscita a denunciare soltanto a sei mesi dalla fine di quell’incubo. Quando si viene aggredite, umiliate, picchiate, è difficile parlare, ammettere ciò che si è subito. Io mi sentivo addirittura in colpa per quello che mi era capitato».

E sono tante le deputate e i deputati del Movimento 5 Stelle che vorrebbero dire la loro su quel padre assai poco nobile: in fondo sono loro che hanno approvato il “Codice Rosso” che permette alle vittime di denunciare le violenze fino a dodici mesi dopo, altro che otto giorni. Se Beppe Grillo non fosse Beppe Grillo, potrebbero esternare tutta la loro rabbia in un video su Facebook o magari riunirsi in un teatro, telefonare al fondatore del loro partito e gridargli in coro un liberatorio “vaffanculo”.

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