Media

Scrivendo di Rai ho capito che la politica non mollerà mai Viale Mazzini

16 Giugno 2017

Ogni volta che la dirigenza Rai va in crisi, com’è accaduto nei giorni scorsi con le dimissioni del direttore generale Antonio Campo Dall’Orto e l’arrivo al suo posto di Mario Orfeo, torna il dibattito su come allontanare la tv di Stato dalla politica. L’impresa non è solo difficile, ma impossibile. Per i partiti, infatti, la Rai è una vera e propria ossessione, perché rappresenta una tv (con alti ascolti) su cui loro possono dettare legge. Le ingerenze sono continue e anche molto violente, basti prendere ad esempio le dichiarazioni di Michele Anzaldi, deputato dem con la delega alla comunicazione del Pd. Non passa giorno in cui l’ex portavoce di Francesco Rutelli non dica la sua su questo o quel programma, sul tal giornalista o conduttore, su come una trasmissione si poteva fare meglio oppure no. Una pletora di esternazioni a dir poco imbarazzanti, che entrano nel dettaglio fin quasi alle singole inquadrature o alla disposizioni delle luci. Anzaldi, naturalmente, è in buona compagnia: stessa cosa, in maniera più garbata, fa il presidente della Vigilanza Roberto Fico e, oggi meno di ieri, il forzista Maurizio Gasparri.

Svincolare la Rai dalla politica è impossibile, a meno che non si provveda a una sua privatizzazione. Perché finché l’azionista di riferimento (con il 99%) sarà il ministero del Tesoro, c’è ben poco da fare. L’editore della Rai è il governo e, quindi, il Parlamento. Per cui comanda la politica, punto. Detto questo una distanza di sicurezza tra i partiti e la tv pubblica si potrebbe mettere. Come? Innanzitutto abolendo la commissione di Vigilanza, vero e proprio tribunale inquisitorio della politica su Viale Mazzini e sfogatoio dei peggiori istinti dei parlamentari verso mamma Rai. E’ sufficiente che a un deputato o senatore non sia andato giù un programma che subito scatta l’audizione in Vigilanza del presunto responsabile. Così spesso capita di ascoltare direttori di rete o capistruttura accusati di ogni nefandezza e costretti a difendersi solo per aver svolto il loro lavoro.

In secondo luogo, tra Parlamento e vertici Rai andrebbe istituito una sorta di trust sul modello Bbc: una ventina di persone tra intellettuali, esperti di comunicazione, uomini e donne di tv, che poi provvedano alla nomina di un consiglio di amministrazione, che poi nominerà un direttore generale con i poteri da amministratore delegato. Il presidente, invece, potrebbe essere indicato direttamente dal trust, con poteri di indirizzo e controllo. Il trust, però, non dovrebbe essere nominato direttamente dalla politica, altrimenti sarebbe inutile: invece di avere un Cda lottizzato, come ora, si avrebbe un trust lottizzato. La soluzione potrebbe essere questa: i partiti indicano dei nomi (40?), i quali poi vengono votati direttamente dai dipendenti dell’azienda.

Questo permetterebbe di avere un Cda non strettamente rappresentante delle forze politiche, come invece accade ora, con una lottizzazione perfetta in cui ognuno risponde al partito che l’ha messo lì. Nell’attuale consiglio, per esempio, Guelfo Guelfi, Rita Borioni e Franco Siddi rispondono al Pd (e alle sue varie correnti), Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzuca a Forza Italia, Carlo Freccero a M5S. Il dimissionario Paolo Messa, invece, era uomo di Ap che, quando Angelino Alfano ha dichiarato guerra a Campo Dall’Orto, ha iniziato a martellare di critiche l’ex dg. Monica Maggioni, invece, ha giocato una partita tutta sua fatta di sponde e controsponde tra Pd e Forza Italia per isolare Campo Dall’Orto, accrescere il suo potere e mettere le mani sul piano dell’informazione (cosa, quest’ultima, che non le è riuscita). Così, purtroppo, funzionano le cose a Viale Mazzini. Ben diverso sarebbe con un Cda, dg e presidente che debbano rispondere a un trust il più indipendente possibile dalla politica e non più ai singoli partiti.

L’ultima scelta da fare, infine, è decidere se continuare sulla strada del servizio pubblico (e quindi agire senza stare sotto il giogo continuo degli ascolti e dell’auditel, mettendo in conto di realizzare anche programmi di qualità senza preoccuparsi troppo dello share) oppure sterzare completamente verso la tv commerciale. A quel punto, però, la privatizzazione diventa obbligatoria, con tanto di rinuncia al canone.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.