Partiti e politici
Flussi, affluenza, città e provincia: cosa di dice davvero il voto di domenica
Previsione sbagliata, la mia di qualche giorno fa, per quanto riguarda la conquista dell’Emilia da parte di Salvini. Bonaccini ce l’ha fatta e non certo di misura, come si poteva invece pensare dalle risultanze di praticamente tutti i sondaggi pubblici e privati, che davano un vantaggio del presidente uscente di soltanto 3-4 punti, nei casi migliori. Le elezioni di domenica ci hanno però fornito segnali particolarmente interessanti, che alcuni degli articoli usciti negli ultimi giorni hanno travisato o addirittura ignorato, nel nome di una vittoria che pareva difficile ma che è risultata più ampia delle previsioni. Vediamo brevemente per punti.
1. La partecipazione elettorale. Molti commentatori hanno enfatizzato una imprevista ed elevata affluenza di votanti, addebitandone le cause da una parte alla mobilitazione portata dal fenomeno Sardine e dall’altra al clima di forte contrapposizione neo-bipolare che si era prodotta nelle ultime settimane. Ma è stata davvero così elevata la partecipazione della scorsa domenica? Se guardiamo agli appuntamenti elettorali dell’ultimo decennio, non mi pare ci sia una evidente inversione di tendenza: dal 2010 ad oggi il tasso di partecipazione è stato costantemente superiore ai due terzi degli aventi diritto, alle regionali e alle europee, con punte vicine all’80% alle politiche. L’unica eccezione è stata quella del 2014, con il ben noto 37%, le cui cause reali restano peraltro ancora sconosciute. Indifferenza? Disaffezione? Scarsa competitività dei candidati non di centro-sinistra? Segnali anti-Pd? Difficile capirlo, considerato che soltanto 6 mesi prima, alle europee, il solo Partito Democratico di Renzi era arrivato al 52% (con oltre 1milione e 200mila voti, mezzo milione in più di domenica scorsa) e la partecipazione aveva superato il 70%. L’Emilia-Romagna oggi è tornata sui livelli di partecipazione consueti, anzi un pochino più bassi, senza proporre importanti picchi incrementali positivi.
2. Il risultato del centro-destra. Certamente Borgonzoni e Salvini non hanno vinto, come alcuni temevano e altri auspicavano, e come le rilevazioni demoscopiche avevano ipotizzato almeno come possibile. La regione sembra essere ancora non contendibile, ma certo la coalizione capeggiata dalla Lega pare essere diventata ormai chiaramente competitiva, ribadendo il risultato delle europee (44%) e migliorando di dieci punti quello delle politiche e ancora più quello delle precedenti omologhe. L’impressione è che, con un candidato un po’ più forte e presente nel territorio, da una parte, con un Salvini meno portato a strafare, dall’altra, e infine con una affluenza maggiore nelle “periferie”(dove la partecipazione è stata più bassa), la vittoria potrebbe essere a portata di mano alla prossima occasione.
3. La fine della regione rossa. Nonostante il buon successo ottenuto da Bonaccini e dalla sua coalizione, la percezione che ci trasmettono i risultati elettorali è quella di trovarci in presenza di una regione spaccata secondo due direttrici territoriali, in parte intrecciate, o forse addirittura di due regioni diverse: da una parte la frattura tra centro e periferia, con i comuni più popolosi che stanno a sinistra e quelli più periferici a destra; dall’altra la frattura tra le diverse province, con Piacenza, Parma, Ferrara e Rimini cha vanno a destra, mentre quelle lungo la via Emilia stanno a sinistra, con Forlì piuttosto incerta. E’ chiaro che non si può più parlare di una omogena regione “rossa”, ma della convivenza di due realtà territoriali parecchio conflittuali con, al loro interno, una forte differenziazione tra capoluoghi e resto della provincia.
4. I flussi di voto. Ci hanno correttamente raccontato quello che probabilmente tutti noi avevamo capito, solamente osservando i risultati odierni e confrontandoli con quelli delle ultime competizioni. Mentre il centro-destra tiene i suoi antichi elettori (accresciuti alle ultime europee da innesti di ex-pentastellati), il centro-sinistra riesce a recuperare altri innesti provenienti dall’ulteriore prosciugamento del M5s. Con un quasi nullo apporto da ex-astensionisti. Alcuni hanno individuato in questo risultato la nascita di un nuovo bipolarismo, vicino a quello che caratterizzava il periodo berlusconiano. Ed è possibile che questa situazione, se il Movimento 5 stelle non riuscirà a rinascere in maniera autonoma, si possa riproporre a breve anche nel resto del paese.
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