Partiti e politici

Salvini il debole

21 Agosto 2019

Salvini ieri è uscito dall’aula sconfitto. In Senato ha deciso di prestare il fianco a critiche feroci, di Conte e dei 5Stelle in particolare. Dei suoi ex affiliati, dei suoi triumviri. Dalla sua parte ha “la Bestia”, il mostro social che divora consenso spettacolare a furia di etichette, frasi fatte e contenuti visivi. Vorrebbe anche le piazze, vorrebbe farsi eletto del popolo, baciato dalla Madonna. Un condottiero umile, pronto a dar la vita per la patria. Ha un culto fedele, proseliti che lo acclamerebbero comunque e dovunque. Vorrebbe avere le elezioni per dar voce alla sua gente, perché ancora il potere non può permettersi di prenderlo da solo.

Ciò che si prospetta nel prossimo futuro è comprensibile solo se si svelano i rapporti dinamici tra chi il potere politico lo detiene, il popolo, e chi lo ha in delega e lo amministra, il palazzo. Partiamo dal palazzo. Che lo si riconosca o meno il discorso di Conte è stato incisivo e ha messo Salvini in croce. Salvini non ha poi replicato con altrettanta ferocia, ma ha giocato di rimessa e prodotto un lungo intervento adatto alla pubblicazione social, mantenendosi sui suoi soliti stilemi. Questo è un chiaro segno di debolezza. Sapeva di non poter sferrare la zampata e l’ha ritratta. Ha preferito gettare scompiglio tra le altre parti, già in precario equilibrio, ritirando la sfiducia a Conte. In questi ultimi giorni è come se avesse voluto osservare l’iniziativa altrui, e nel frattempo forzare da un lato le dimissioni dell’ex Primo Ministro e dall’altro l’avvicinamento tra PD e 5S. Probabilmente, più che un fine disegno strategico, si è trattato di superficialità. Con calcoli grossolani spera che gli altri non riescano a trarre un proficuo vantaggio dal suo passo falso.

In effetti, Pd e 5S non sono una classe politica di eccellenza. I secondi han dimostrato in più occasioni scarso acume politico pur avendo la compagine parlamentare più vasta, e han giocato un ruolo subordinato nel governo appena caduto. Gli altri, seppur politicamente più navigati, non solo han fatto scarsissima opposizione ma sono anche divorati da contrasti interni e da una possibile spaccatura renziana. C’è da aggiungere che queste due parti non si amano né tra i banchi del parlamento, né fra le basi elettorali. Sanno entrambi però che un voto in autunno li vedrebbe molto sfavoriti e in qualche modo si vedono forzati a collaborare. In questo la crisi di governo aperta dalla Lega e poi lasciata alla sua entropia potrebbe averli favoriti. Soprattutto ha mostrato agli elettori un Salvini poco amichevole e forte nei sondaggi e quindi reso più digeribile un accordo di necessità. Parliamo allora del popolo elettorale.

Salvini ha in qualche modo rimarcato gestualmente e a parole il destino giallo-rosso dell’aula. Vorrebbe trasmettere alla gente l’idea di una persona coerente e non opportunista, cercando di racimolare qualche consenso tra gli elettori 5stelle delusi. Magari rinarrando tra qualche mese la confusione e le mancate dimissioni come assenza di responsabilità nella fine dell’esecutivo. Ma in realtà la direzione su cui punta per una trionfante campagna elettorale è ribadire come lui nel palazzo ha fatto gli interessi del popolo, che lui voleva elezioni perché è dalla parte del popolo e non dei poltronisti. Quelli rimasti son la “casta” o lo son diventati. Sa che il palazzo è debole e che quindi poteva permettersi una sconfitta. In effetti non ha torto. Se negli anni del populismo dirompente si è capito qualcosa è che la folla è stanca dei burocrati incravattati che sanno quel che è meglio per gli altri anche se poi non cambiano nulla. Meglio parlare dal basso che dall’alto, mostrarsi disinteressati alle cariche amministrative. Meglio essere nemico del palazzo e di quelli che rimangono, come infatti il capo leghista ha ribadito nell’intervento. Con buona probabilità la sua narrativa prossimamente rimanderà a questi temi.

Cosa rimane da fare al palazzo? In effetti Salvini si è indebolito, è passato da ministro a oppositore. Potrebbe essere giunto il momento di un governo che esca dalla dicotomia migrazioni-Europa su cui si è inardito il dibattito negli ultimi tempi. Potrebbe prendere il via un governo solido e durevole, che faccia riforme importanti anche per la pancia del paese evitando di ribattere al gioco dell’opposizione di destra. Questo in tutta probabilità è un’utopia sia per i dissidi nei e fra i partiti, sia per incapacità, come detto più sopra. Ma anche perché la politica attuale è stretta in accordi internazionali, politici ed economici, che sono sospinti da un vento di destra, liberista e lontano dal popolo e quindi avverso allo stesso. Alla meglio si potrebbe sperare in un governo che amministri senza sconvolgere la parte economica, cercando di farsi propaganda su altre decisioni più spendibili. Ammettendo che duri e che faccia le scelte corrette è difficile che questo possa davvero contrastare l’inerzia della massa leghista, a meno di sucidi o di scandali giudiziari in cirillico. Al più potrebbe guadagnare un po’ di tempo per organizzare un’opposizione diretta, nelle piazze. È lì che si deciderà il futuro del paese.

L’abbiamo già detto il palazzo è debole, è un castello di sabbia. Legislatori del parlamento che rimettono le leggi al potere esecutivo, che più direttamente può agire e seguire gli umori popolari. Un tentativo di ridurre le distanze tra popolo e palazzo, che risuona come un pericoloso scricchiolio per l’impostazione democratica novecentesca. Non per forza significa meno democrazia se effettivamente il potere è esercitato per il popolo; certo espone a dei rischi. Salvini lo sa, l’ha dimostrato coi suoi decreti e coi suoi atteggiamenti comunicativi: vuole farsi vedere parte del popolo. È però quando scende in piazza, non quella virtuale, che l’impegno diretto degli oppositori gli è valso più che qualche preoccupazione. È stato contrastato efficacemente in più occasioni. La piazza stessa è il popolo, un’espressione diretta della sua volontà tradita da chi ha fatto crescere le difficoltà di carattere sociale, economico, senza porre un rimedio che non fosse quello di uno scientismo tecnocratico. Direttive applicate in un ambiente politico sempre più distaccato dalle necessità delle persone e rivolto invece alle necessità del mercato. Una politica succube che per anni si è limitata a ratificare un’economia capitalista che ha aumentato la disuguaglianza tra le persone.

Persone che ora vogliono, anche inconsciamente, riappropriarsi del loro potere decisionale e che quindi sono il fulcro su cui impiantare la lotta politica a una destra scalpitante. Potere che va esercitato direttamente e che bisogna saper intercettare per dirigere contro chi vuol essere nemico dei palazzi, così da farlo anche nemico della gente. Altrimenti Salvini si farà un baffo delle sue debolezze, conquisterà il suo popolo, anche solo una parte del totale, quanto basterà a legittimarlo del potere dentro e fuori dal palazzo. I suoi seguaci, attivi e fedeli, sottometteranno chi invece passivo aspetta l’agire dei delegati. Ma noi ora sappiamo che Salvini è debole. Gli astenuti, i grillini delusi, i piddini che hanno radici a sinistra: uniti dal cambiamento popolare piazza dopo piazza, metro dopo metro saremo la maggioranza. Non con la delega ma con la protesta diretta, uniti fermeremo il tiranno venturo, il debole di oggi.

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