Partiti e politici
Salvini e Moavero nella stessa casa: fragilità e potenzialità di un esperimento
Non passerà molto tempo, probabilmente, da qui a quando ci chiederemo qual è la vera faccia, la vera testa di questo governo. Sarà quella ringhiante e già in astinenza da campagna elettorale di Matteo Salvini, scatenato a sventolare ogni rimpatrio e ogni arresto, o quella diplomatica (nel senso professionale del termine) e misurata di di Enzo Moavero Milanesi, che torna in un ministero (gli esteri) dopo essere stato due volte ministro con Mario Monti ed Enrico Letta, e dopo essere stato candidato nella lista più integralista europeista di sempre, cioè Scelta Civica? E ancora, sarà quella del populismo pettinato di Luigi Di Maio che dovrà sbucciare la patata bollente del nuovo welfare, o quella di Giovanni Tria, nuovo ministro dell’Economia, che sul reddito di cittadinanza ha finora detto che non si pronuncia, in attesa di capire di cosa parliamo, dopo aver cooperato con Tremonti e Brunetta in un passato assai recente? Infine, sarà quella di un punto di equilibrio che, salvo sorprese, interpreterà il ruolo da protagonista con tinte tenui, e parliamo di Giuseppe Conte, o quella di un protagonista nato, che a 82 anni avrà digerito a fatica il declassamento alle Politiche Comunitarie, come Paolo Savona?
È ovvio, al momento non sappiamo quale anima prevarrà, o quale equilibrio di fisionimia si andrà cristallizzando, nei mesi e magari negli anni, a fronte di una compagine composita, fatta di diversità molto marcate tra di loro, e di un profilo politico tutto da amalgamare, al di là dei contratti programmatici firmati, ma poi chissà. Alcune cose però le sappiamo, anche solo scorrendo la lista dei nomi. La prima, più evidente, la spartizione delle poltrone di prima fascia, cioè quelle dei ministri in attesa dei sottosegretari, è nettamente a favore della Lega. Alla faccia del “Junior Partner”. Salvini piazza se stesso alla vicepresidenza con delega agli interni; Giancarlo Giorgetti a gestire la macchina di Palazzo Chigi da sottosegretario; Tria all’economia, Giulia Buongiorno all’importantissima funzione pubblica e il fido Gianmarco Centinaio all’agricoltura, da sempre un ministero caro a elettori e colonnelli leghisti. I numeri nella spartizione delle poltrone dicono di un sostanziale pareggio, che è una schiacciante vittoria se si considerano i rapporti di forza. Salvini deve aver fatto pesare la sua voglia di andare a votare con la certezza di incassare. E anche, con ogni probabilità, l’accettazione del veto posto da Sergio Mattarella su Savono e l’imposizione di una pedina pesante come il piombo alla casella del capo della diplomazia, Enzo Moavero Milanesi.
Il suo nome, il suo curriculum, la sua notoria rete di rapporti nazionali e internazionali, è di quelli che fa balzare sulla sedia, se si parte dal contesto in cui esso figura oggi. Ministro con Mario Monti, ministro con Enrico Letta, tanto addentro alle stanze di Bruxelles e Strasburgo, tanto ad esse organico. Organico ma critico, soprattutto di ricente, come quando, appena tre settimane fa, scriveva sul Corriere della Sera che ci sono diverse questioni su cui in Europa dovremmo dire no. Cinque questioni centrali come l’immigrazione, l’unione bancaria e i fondamenti della moneta unica: centrali per l’Europa e per la constituency del governo. Al di là delle ampie e condivisibili ragioni di critica all’Europa per come è, una cosa è per certa: la figura di Moavero Milanesi, in posizione centrale e in un dicastero in cui di certo non sfigurerà rispetto all’ultimo predecessore, ha una funzione assai precisa. Rappresenterà infatti la fedeltà dell’Italia ai trattati internazionali, alla collocazione atlantica, all’unione Europea. Rappresenterà, al contempo, il ministro più vicino a Sergio Mattarella, e la fedeltà del governo alla continuità istituzionale che il presidente della Repubblica ha faticosamente cercato in questi lunghissimi 90 giorni.
La sua nomina, inoltre, assieme ad altri ma prima di altre, non consente di derubricare il governo al mix pasticciato di destra e improvvisazione che qualcuno temeva, molti dicevano e diversi malcelatamente speravano di poter raccontare. Non ce la si potrà cavare facilmente dando a tutti dei fascisti e degli apprendisti stregoni, e l’opposozione – se esite – sarà più che mai obbligata a stare ai fatti, alle promesse mantenute oppure no, alle minaccie realizzate e a quelle rilanciate. Le fragilità interne stanno tutte al sole, ovviamente, e sono una carica di inespertissimi ministri che per la prima volta aassumono incarichi di governo. Giuseppe Conte è il più alto in grado, ma anche a scendere c’è solo l’imbarazzo della scelta. E le anime politiche sono tante e dissimili, che è lecito aspettarsi che Salvini inizi a urlare sui migranti per coprire la eco dell’aplomb internazionale di Moavero, e allora Di Maio rilanci a piacere sull’Università del turismo, e così via. Il rischio del casino esiste, eccome, insomma, e che tutto salti a breve anche. Ma appunto è un rischio, non una certezza, e si danno anche chance di un qualche successo, di qualche soddisfazione e di qualche prospettiva di medio termine. Per chi è fuori, dal Pd a Berlusconi, il compito è certo arduo e la strada dell’alternativa davvero tutta da inventare.
Chi invece forse stannote finalmente dormirà un sonno ristoratore e meritato è Sergio Mattarella. Siamo tra quanti nei giorni scorsi hanno manifestato perplessità e dubbi sulla conduzione della crisi. Ce li teniamo. Ma non abbiamo mai dubitato della buona fede e della corretteza. L’abbiamo vista, in trasparenza, una volta di più ieri, quando ha ricevuto Luigi Di Maio fresco di richiesta di impeachment. I bene informati raccontano che Di Maio sia salito al Quirinale principlamente per scusarsi. Il presidente ha marciato dritto per la sua strada, all’orizzonte l’obiettivo prescirtto dalla carta era dare un governo al paese, e l’ha colto, ovviamente oltrepassando la cretineria di una richiesta priva di fondamento e di ogni educazione istituzionale. La capacità di anteporre il bene di tutti a ogni dignità ferita è stata ieri e oggi plasticamente dimostrata da Sergio Mattarella. Comunque vada la storia del governo da domani, questo esempio merita di esser scolpito. E, lo volesse il cielo, anche seguito da qualcuno, sotto i cieli di Roma.
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