Partiti e politici

Salvini e Di Maio (il governo) lo faranno. Con Berlusconi nascosto nell’armadio

4 Aprile 2018

Dimenticatevi il Movimento 5 Stelle come lo avete conosciuto fino ad oggi, per un po’ non lo vedrete più. La radicale mutazione che ha portato il partito del “vaffa” a diventare una forza moderata che propone agli avversari un “patto di governo alla tedesca” è stata velocissima e apparentemente indolore. Anche i commentatori meno attenti avranno ormai compreso che la delicata partita del nuovo esecutivo ha modificato in modo forse permanente l’approccio al potere del cartello elettorale di proprietà dalla Casaleggio Associati. Normale, penseranno in molti. Quando si vuole essere forza di governo si mettono da parte le asce di battaglia e ci si apre al dialogo. In fondo nella storia recente non sarebbe il primo caso: basti ricordiare il PCI, che dopo la caduta del Muro di Berlino iniziò il suo processo di trasformazione o il Movimento Sociale Italiano, che grazie alla faccia rassicurante di Gianfranco Fini divenne uno dei pilastri dei governi Berlusconi.

Tuttavia, malgrado il generoso tentativo di moderazione e i nuovi completi firmati degli ormai ex seguaci del comicoleader genovese, l’Italia non è la Germania e Luigi Di Maio non è Angela Merkel. A parte la differenza abissale di valori (a trovarli…) e di programmi tra il Movimento 5 Stelle e la CDU tedesca, il consenso del partito della Cancelliera non si fonda sull’assunto che CSU e SPD sono associazioni per delinquere di stampo mafioso da annientare a colpi di onestà millantata e democrazia dal basso, quello dei grillini sì. E il consenso – in questa era post ideologica – è alla base di ogni forza politica, che sia di ispirazione populista o che rappresenti pezzi di establishment.

Prima di azzardare paragoni con i famosi “streaming” tra Pd e Movimento 5 Stelle o evocare coalizioni di governo della Prima e della Seconda Repubblica (compresa quella che ha sostenuto i governi Letta, Renzi e Gentiloni) bisognerebbe porsi almeno due semplici domande, sorvolando sulle promesse irrealizzabili del programma pentastellato, dal reddito di cittadinanza ad altri sogni. La prima domanda è legata direttamente alla tenuta del consenso. Quanti voti avrebbe preso il M5S se fosse rimasto nel solco di un civile dibattito tra forze politiche concorrenti e se non avesse passato nove anni a fomentare le classi più disagiate al grido di “ladri, mafiosi, tutti a casa”? La risposta è molto semplice: avrebbe preso molti meno voti e oggi non sarebbe la lista più votata.

La seconda domanda è più di contenuto e tocca un’altra caratteristica tipica dei grillini: quella di non seguire una chiara linea politica (né di destra né di sinistra, ripetono ossessivamente) e di affidarsi ai trend quando devono prendere ogni decisione. Quanti voti avrebbe preso il M5S se non avesse passato un’intera legislatura a confezionare video-spot propagandistici (utilizzando le aule di Camera e Senato come scenografie di urlati interventi completamente estranei alle leggi in discussione) e avesse invece sostenuto leggi condivise da una parte del suo elettorato come lo Ius Soli? In sostanza, perché in questi anni non ha cercato convergenze anche su terreni su cui avrebbe potuto trovarle? La risposta è la stessa della prima domanda: avrebbe preso molti meno voti e oggi non sarebbe la lista più votata.

In conclusione, la tardiva “normalizzazione” dei grillini rende oggi impraticabile ogni ipotesi di governo diversa da quella più naturale (e probabile): l’unione delle forze populiste e sovraniste. E non è una questione di “Aventino del Pd”, come vorrebbe far credere qualche arguto intellettuale interessato alla vicenda, ma semplicemente di totale incompatibilità di intenti tra chi ha votato dei partiti anti sistema e chi invece con il suo voto ha sostenuto il sistema, perché pensa che al netto dei limiti dei singoli quella sia la strada giusta per governare le complessità di questo tempo e del paese in cui vive. Resta l’incognita Forza Italia, partito che serve a Matteo Salvini per mantenere il suo potere contrattuale sul tavolo della trattativa. La presenza di Berlusconi in una possibile coalizione di governo mina troppo la base del consenso pentastellato e nelle stanze della Casaleggio Associati lo sanno bene. Tuttavia, il matrimonio tra Di Maio e Salvini è l’unico possibile e probabilmente alla fine si consumerà, che ci sia o meno l’ex Cavaliere nascosto nell’armadio. Se e come la società milanese riuscirà a nascondere l’ingombrante presenza dell’editore di Alessandro Di Battista, lo scopriremo nelle prossime settimane.

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