Partiti e politici

Salvini, dietro al fascio littorio si nasconde lo scudo crociato?

12 Agosto 2019

L’irrompere della crisi di governo in questa estate ha avuto come primo effetto quello di confermare lo stato di salute del dibattito politico italiano e dei partiti che vi partecipano: sono entrambi moribondi.

La rottura improvvisa dell’equilibrio di governo ha scatenato il furioso scontro fra sessanta e rotti milioni di differenti ipotesi predittive, e i protagonisti della politica, anche confermando che tutta questa capacità previsionale quotidianamente sbandierata al ristorante da scenaristi e retroscenisti è una scienza meno esatta del fantacalcio, presi alla sprovvista hanno reagito d’istinto come i cani di Pavlov, mostrando senza possibilità di fraintendimenti quali siano gli effettivi orizzonti della politica italiana odierna; una resa dei conti interna, esterna, interna ed esterna. Comunque, come ha magistralmente sottolineato il Direttore di questo giornale, con la testa voltata indietro, alla scia di rancori e macerie lasciata da questo decennio di politica sospesa.

E poi c’è Salvini. Piaccia o meno Salvini è l’unico politico che nel fragore di questi anni, casino a cui ha contribuito senza risparmiarsi, sotto sotto lavorava per un progetto di medio-lungo periodo. E tale progetto, nei tempi della politica liquida, dei partiti novecenteschi morti, della crisi della rappresentanza, pare svelarsi in questi giorni nella sua tradizionale consistenza: la costruzione di un partito politico novecentesco di solida maggioranza relativa.

Se è vero, e pare verosimile, che le ragioni della crisi o la parte prevalente di tali ragioni, derivano dalla volontà di capitalizzare il consenso giunto al massimo storico, è riduttivo interpretare tale scelta in senso tattico e di breve periodo.

Intanto, la strategia storica di Salvini all’interno,prima, della Lega e, poi, del centro destra è stata ormai da anni quella di aspettare la definitiva bollitura dei predecessori per prenderne, al momento giusto, il posto. E mentre non si contano più i delfini inscatolati da Berlusconi, proprio in questa tribolataestate, e dopo anni e anni di morti e resurrezioni, il vecchio leader è evidentemente al capolinea, e Forza Italia, come lo sciame di roditori che abbandonano la barca sta a testimoniare, è al definitivoaffondamento. Salvini, in sostanza, dopo essere stato a lungo in attesa sotto l’albero, sta per raccogliere lapera matura dell’eredità del centro destra.

Nel frattempo, non è rimasto con le mani in mano; partendo dal presupposto da molti dimenticato che le stupidaggini via twitter sono un mezzo e non un fine, e che un partito politico è prevalentemente ciò che rappresenta, ha ampliato alla vecchia maniera le quote di società disponibili a farsi rappresentare dalla Lega. In ciò è stato evidentemente  aiutato dalla lunga e progressiva disgregazione delle famiglie politiche tradizionali e, soprattutto, dalla loro incapacità di aggiornarsi, se non dalla loro insistenza nello sbagliare pervicacemente l’analisi.

In questo processo, Salvini ha perseguito una strategia concretizzata in quella che si è definita“campagna elettorale permanente”, e invece era un never ending tour negli altrui elettorati scontenti che per giunta ha subito una decisa accelerazione in questi mesi di governo.

Si è così fatto strada tra i produttori verso un partito interclassista; il famoso nord operoso che costituiva la base tradizionale della Lega, sia sul fronte dell’impresa sia del lavoro, via via filtrata all’interno delle organizzazioni di rappresentanza a livello nazionale, con queste impegnate ad arginare sul piano ideologico la progressiva penetrazione nel proprio territorio.

Si è allargato al sud, verso un partito nazionale, con una variazione statutaria inizialmente tanto incredibile da sembrare bizzarra, e che invece via via ha mostrato di avere una sua perversa logica politica.

Si è radicato in pezzi dell’amministrazione e dello Stato, quali le forze dell’ordine, di felpa in felpa riassorbite in un disegno che, con il senno di poi, si è mostrato non riguardare solamente il vestiario; le furibonde reazioni di corpi fondamentali dello Stato – anche se probabilmente sfiorati in quest’anno al governo -, indica il vero punto debole nella diffidenza ancora al momento esistente nei centri decisionali profondi.

E poi, verso un partito maggioritario e conservatore, ha vellicato l’opinione pubblica in generale, cavalcando e portando alle estreme conseguenze dell’azione di governo temi tradizionali, quali l’immigrazione, e altri emersi in questi anni, contingenti ma profondissimi, come il malessere economico e sociale, la diffidenza per l’Europa austera, una certa vena anarcoconservatrice italiota che, in questi anni di crisi e incattivimento ha assunto aspetti più reazionari e muscolari, forse domabili e forse no.

Infine, la politica estera. Salvini è fra i pochi, forse per ragioni generazionali o culturali, ad avere assunto fra gli elementi della propria strategia per quanto in modo apparentemente un pò infantile e dilettantesco – fino a prova contraria -, anche l’emergere dei nuovi assetti nelle relazioni internazionali. Per intenderci, mentre tutte le famiglie politiche tradizionali ancora sono impegnate a cercar di dimostrare che Trump è uno psicopatico come se non fosse mai finita con la vittoria la sua campagna elettorale, Salvini ragiona come se quello fosse il Presidente degli Stati Uniti e questo l’attuale spazio atlantico. E mentre per il mondo politico e istituzionale italiano radicato nel dopoguerra non esiste altra alternativa all’asse francotedesco di Bruxelles – e tutto il resto è “populismo” fascistoide -, egli dichiara guerra all’Ue, e via via russieggiando. Certo tutto questo implica una dose di equilibrismo notevole, il rischio continuo di inciampi clamorosi, la doppia faccia, la tripla lingua, e capacità arlecchinesche notevoli; tutte le doti della politica estera della Prima Repubblica, insomma.

Certo, si potrebbe notare che questi stessi ingredienti siano stati in precedenza mescolati anche in differenti ricette, dando però pessimi risultati. Altri hanno tentato di mettere nello stesso recinto porzioni di elettorato che poi si sono sciolte come la neve al sole, nei brevi cicli politici biennali determinati dal “pilota automatico” in questa Italia post crisi.

Di Maio, per esempio, che però ha messo insieme in un movimento non partito – e quindi in un recinto molto basso e disorganizzato – mezza destra e mezza sinistra, dovendo continuamente scegliere e finendo per inciampare nei propri piedi. Oppure Renzi, che ha forse più pervicacemente di tutti perseguito un disegno similsalviniano; e che però lo ha fatto partendo da sinistra e tentando di trascinare pure una cultura che fu comunista verso un centro destrorso e qualunquista all’italiana: ecco il peccato originario.

E così, tra un bacio alla madonnina e un “padre di famiglia”, mentre tutti quotidianamente evocano l’emersione di un nuovo “nazifascismo”, Salvini, zitto zitto, forse sta cercando di fare una nuova Democrazia Cristiana

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