Partiti e politici

Sacchetti ecologici a pagamento, Pd: “Ce lo chiede l’Europa”. Non è vero

3 Gennaio 2018

Di tutti i rincari entrati in vigore a partire dal 1° gennaio, quello che ha suscitato le  polemiche più aspre è stato l’introduzione dell’obbligo di pagamento dei sacchetti biodegradabili, con i quali si pesano e si raccolgono nei supermercati i prodotti freschi sfusi o si imbustano i prodotti acquistati nei negozi, farmacie incluse. Indignazione sui social, commenti salaci in coda alle casse.

Foto tratta dal profilo Twitter di @AlexSanna8334

La norma, nascosta nell’art. 9 bis della Legge 3 agosto 2017 n. 123, di conversione del Decreto legge c.d. Mezzogiorno approvato dal Governo in agosto, obbliga i supermercati a partire da lunedì scorso a distribuire i sacchetti biodegradabili a pagamento, con un prezzo per unità variabile da 1 a 5 centesimi (la decisione del prezzo è a discrezione del distributore), e a vendere solo ed esclusivamente sacchetti monouso non riutilizzabili.

Il Partito democratico difende il provvedimento e alza le mani: “Ce lo ha chiesto l’Unione europea”, si difende Alessia Morani. A dispetto di quanto dica in queste ore la politica, non è vero che il nuovo balzello per le tasche dei cittadini è stato deciso dall’Europa, imponendo all’Italia di adeguarsi.

La norma del Governo Gentiloni che introduce il pagamento dei sacchetti dà attuazione alla Direttiva europea n. 2015/720, che aggiorna la Direttiva del 1994 in materia di riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. La Direttiva del 2015, ponendo agli Stati europei l’obiettivo della riduzione della diffusione di imballaggi di plastica inquinanti, in primo luogo sottolinea la necessità – lo si legge nei Considerando della norma comunitaria – che gli Stati prevedano misure adeguate e informino i consumatori in merito alle corrette modalità di trattamento dei rifiuti. Il coinvolgimento dei cittadini – ribadisce la norma europea – è fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di diminuzione dell’utilizzo di prodotti nocivi o difficilmente smaltibili: è provato – continua la Direttiva – che “le informazioni ai consumatori svolgano un ruolo decisivo nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’utilizzo delle borse di plastica. Pertanto è necessario […] aumentare la consapevolezza del pubblico in merito agli impatti sull’ambiente delle borse di plastica e liberarsi dell’idea ancora diffusa che la plastica sia un materiale innocuo e poco costoso”.

La Direttiva europea non può imporre agli Stati membri di adottare strumenti specifici per raggiungere gli obiettivi obbligatori. I Paesi della Ue hanno piena discrezionalità nello scegliere le modalità di attuazione che ritengono opportune e più adeguate. Infatti, nella Direttiva n.720/2015 si legge che “gli stati membri dovrebbero adottare misure per diminuire in modo significativo l’utilizzo di borse di plastica […] Tali misure possono comprendere […] l’introduzione di strumenti economici”. Possono, appunto, non certo devono. Il Governo, prima, e il Parlamento, poi, aveva la possibilità di introdurre il pagamento delle borse di plastica, ma anche di introdurre sistemi di imbustamento riutilizzabili ed ecologici, come avviene nei supermercati della Svizzera. Inoltre – e questo è sfuggito alla politica chiamata a difendere la bontà della norma – la stessa Direttiva europea permetteva agli Stati di escludere il pagamento delle borse di plastica con spessore inferiore ai 15 micron (c.d. In materiale ultraleggero).

Non è l’Europa che ci ha chiesto di introdurre il pagamento delle buste di plastica dei supermercati. È la politica che ha scelto la strada più semplice, quella già battuta: inserire un nuovo balzello. In modo semplice e veloce. Inoltre, dove vadano davvero gli introiti del nuovo tributo e se verranno utilizzati seriamente per provvedere al processo di smaltimento di rifiuti ancora non è dato sapere.

Se la classe politica avesse voluto proteggere l’ambiente, il legislatore avrebbe scelto diversamente, magari obbligando i consumatori a dotarsi di sporte riutilizzabili. Avrebbe lavorato per modificare le abitudini dei cittadini verso condotte più ecologiche. Così congegnato, invece, il pagamento delle buste di plastica è solo un’altra tassa. Che si applica a prescindere dall’utilizzo o meno dell’involucro di plastica, perché i supermercati hanno già maggiorato del costo del sacchetto il prezzo della frutta e verdura. Dire che ce lo ha chiesto l’Europa è una balla. Già imbustata.

 

 

 

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