Partiti e politici
Rischio estinzione, per l’originario Movimento 5 stelle
Con la probabile leadership di Giuseppe Conte, è possibile che la storia del Movimento 5 stelle giunga a subire una svolta piuttosto profonda, che già peraltro si poteva intravvedere in questo ultimo anno, sia nei suoi vertici (parlamentari o meno) che tra i suoi elettori. Come è stato più volte ricordato, il movimento è sempre stato composto da una tipologia di elettori piuttosto variegata, così come gli eletti: si sono individuati nel tempo almeno 5-6 anime, che vedevano ciascuna nel M5s nient’altro che la rappresentazione dei propri desideri, che guardavano a questa nuova forza politica con occhi differenti a seconda di ciò che pensavano mancasse nell’offerta partitica presente nel nostro paese.
E il “gioco” dei consensi, l’ho sottolineato spesso, funzionava egregiamente nel momento in cui il movimento si posizionava nell’area di opposizione: le pesanti critiche che venivano rivolte alla classe politica nel suo complesso, alla casta, potevano prendere forme e contenuti consoni a ciascuna delle diverse anime, senza alcuna contraddizione interna all’elettorato nel suo complesso, che rimaneva sostanzialmente unito nella sua alterità al governo locale o nazionale.
Poi però, volente o nolente, è arrivata la scelta di entrare a far parte di un governo, stabilendo prima un’alleanza con un partito di destra, poi con uno di sinistra e, infine, con (quasi) tutti i partiti presenti sulla scena politica. Una scelta, meglio, una serie di scelte che poco alla volta hanno finito per disorientare una fetta considerevole dell’elettorato pentastellato, incrinandone la compattezza di fondo.
Fino al 2018, convivevano facilmente cittadini che si dichiaravano di destra, di sinistra o non si collocavano politicamente, in misura quantitativamente abbastanza simile. A seguito dell’alleanza con la Lega, accolta peraltro con un quasi-plebiscito nella votazione su Rousseau (quasi il 95%), iniziarono ad abbandonare il M5s molti dei pentastellati di destra (una quota vicina al 20-25% del precedente elettorato), per aderire proprio al partito di Salvini. L’alleanza con il Pd venne digerita con più malumori sia tra gli iscritti (oltre il 20% si pronunciò sfavorevolmente) sia tra gli elettori, e soltanto la presenza di Conte come premier non provocò che poche ulteriori fuoriuscite.
Ma certo la possibile costruzione di una alleanza più organica con il Pd, all’interno di una coalizione progressista, iniziò ad alterare sensibilmente il profilo dell’elettorato M5s, tanto che a fine 2020 l’autocollocazione vedeva una presenza molto massiccia, accanto ai “non-schierati”, di chi si dichiarava appunto di sinistra (intorno al 40%, contro solamente il 10% di centro-destra).
Il successivo appoggio al governo Draghi ha fatto scoppiare tutte le contraddizioni per un paio d’anni rimaste sopite, grazie come si diceva alla presenza di Conte. L’alleanza di fatto con tutte le forze politiche, invise da sempre all’elettorato pentastellato, ha portato infine a divisioni interne sempre più marcate: oggi soltanto poco più della metà degli elettori 5 stelle dichiara il proprio consenso all’esecutivo attuale, una quota paradossalmente più bassa degli stessi elettori di Fratelli d’Italia.
A chi vota M5s sfuggono sempre più le ragioni per aderire al Movimento. Non più forza di dura opposizione alla casta, non più forza trainante nelle maggioranze di governo, prima con la Lega e poi con il Pd, ridotta attualmente a votare a favore dei cosiddetti “poteri forti” tradizionalmente osteggiati, tra gli antichi elettori pentastellati aumentano sempre più le perplessità nel rimanere fedeli ad una forza politica privata della sua anima originaria. E il rischio di nuovi consistenti abbandoni potrebbe significare la fine di un movimento originale, che si considerava l’unica alternativa ai partiti tradizionali.
Università Statale di Milano
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