Partiti e politici

Rimuovere simboli e persone: così Renzi si fa malvolere anche quando ha ragione

21 Aprile 2015

Riesce a farsi mal volere, Matteo Renzi, anche quando fa cose sacrosante, come togliere di mezzo tutti quelli che remano contro l’Italicum in commissione Affari costituzionali. Cerchiamo almeno di non essere ridicoli, capita così in ogni organizzazione sociale dove si deve rispettare una certa linea e chi non ci sta è fuori. Capita così in un giornale, in un’azienda, in un supermercato, in una famiglia, eccetera, non si capisce perché dovremmo fare una misericordiosa eccezione per un partito politico. Riesce a farsi mal volere, Matteo Renzi, perché non si accontenta delle cose buone e giuste, ma intende stravincere, umiliare, passare sopra al corpo già straziato del suo nemico. Annientarlo, insomma.

È passata via un po’ così, qualche giorno fa, la vera rimozione che anima i pensieri del nostro presidente del Consiglio. La notizia è arrivata nel suo passaggio americano e non poteva essere diversamente perché da lì, da quel mondo era generata. Come in uno scimmiottamento progressivo verso un’idea a cui tendere per disposizione umana e politica, Renzi ha fatto sapere le sue prossime volontà rispetto al nuovo nome della sinistra in Europa: via la parola “Socialista” e dentro la parola “Democratico”. Per cui chiamarsi in Europa esattamente come in America. Curioso che a fare da motore di questa “svolta” sia proprio colui che, appena eletto segretario, aveva spinto per risolvere positivamente l’annosa questione dell’adesione del Pd al Partito Socialista Europeo.

La rimozione sta tra la coglionata e la trovata di marketing, e in qualche misura ha quell’aspetto surreale dell’altra uscita non meno geniale della presidente Boldrini, che intenderebbe sopprimere la scritta «Mussolini dux» dall’obelisco del Foro Italico. Anche nel  caso del termine “Socialista”, il meccanismo è poi lo stesso, c’è – vivida – l’identificazione con il Male della storia e poco importa che la storia racconti ben altro, Renzi la semplifica al punto tale da offrire al pubblico che lo segue la sua versione edulcorata, mondata da tutti i sospetti, della nuova sinistra che intende rappresentare, e che non ha più nulla di sinistra (o di sinistro) nemmeno nel nome. E poco gli importa se il socialismo riformista per molti è stato sviluppo e approdo a un nuovo modo di coniugare solidarietà e mercato, lui si conferma in quella visione provinciale e offensiva secondo cui si può ben dire che in fondo comunismo e socialismo sono un po’ la stessa, cattivissima, cosa. E dunque non se ne trova traccia nel nuovo paesello che ha dipinto per gli italiani.

Queste rimozioni di simboli che anche lontanamente possano portare inquietudine magari a un solo italiano, sono evidentemente un cruccio ingenuo e fesso del nostro presidente del Consiglio, che forse non ci considera all’altezza di sostenere da soli il giudizio sulla storia o su certi passaggi della storia. Fa lui per noi, ci semplifica la vita, ce la rende meno problematica, ci indica una via che è poi quella di vivere solo il presente. Vedremo come finirà questa storia del nome europeo della sinistra, la questione è molto meno banale di come appaia.

Ma per dire ancora dei simboli. Anche nel caso della Festa nazionale dell’Unità, che si tiene a Bologna e durerà un paio di settimane, il meccanismo è lo stesso. È uscito il programma, e con un colpo alla Silvan sono spariti tutti quelli che stanno amabilmente sui coglioni al premier: Bersani, Cuperlo, Speranza, Bindi, eccetera. Una fantastica rimozione che l’organizzazione della Festa, anche un po’ intimidita, ha messo subito in carico a un misterioso “Dipartimento Eventi” del Partito Democratico. Ma chi sono questi poveri signori di ‘sto dipartimento, da chi hanno preso ordini, non si rendono conto di sprofondare nel ridicolo e per giunta per conto terzi?

Qui c’è il limite di un uomo politico sicuramente straordinario come Matteo Renzi, l’idea di circondarsi solo di sicurezze, di uomini e di donne che gli restituiscano totalmente solo il suo pensiero, magari interpretandolo ancor più per estensione, azzerando il confronto laddove è possibile, riducendo manifestazioni come la Festa dell’Unità a tributi monopadronali. Che, tra l’altro, è anche una solenne rottura di coglioni, per chi ha voglia di passare una serata come si deve.

Da queste parti non si vede l’ora di votare. Così da un lato non ci saranno più “piangina” in servizio permanente effettivo e dall’altra il Capo potrà fare finalmente quello che gli pare ma senza uso (strumentale) di giustificazioni. Il 2018 è troppo lontano per prolungare questa stanca, ridicola, rappresentazione quotidiana.

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