Partiti e politici

Rimini resta al ‘vecchio’ sindaco. Il Pd che tiene e la ‘cambiale’ centrista

6 Giugno 2016

Lui, a fianco del presidente del consiglio – sceso in riva al mare per l’ultima volata prima del voto – aveva messo le mani avanti. Con metafora calcistica, l’aveva buttata là: “ho il cuore biancorosso ma la mia seconda squadra è l’Inter. Non è bello vincere lo scudetto d’inverno, dare tutto per scontato. Quello che conta è quello che si mette sulla maglia e poi si vota solo in una giornata e domenica questa terra lavorerà”. Invece non ha avuto bisogno del secondo turno, Andrea Gnassi, per riconfermarsi sindaco di Rimini e guadagnare un secondo mandato.

Dalle urne è uscito un rotondo 57% per l’inquilino di Palazzo Garampi che ha staccato il rivale leghista, Marzio Pecci, front-man del centrodestra, fermo al 24,9%. Lo sfidante più pericoloso per Gnassi che alla vigilia, non a caso, aveva ‘battezzato’, con sferzante ironia. “C’è un candidato che mi fa anche un po’ tenerezza – aveva scandito -: viene da Pesaro si è candidato a Gabicce, si è candidato già sindaco a Riccione, è stato scelto dalla Lega di Forlì e va in giro con una felpa con scritto Rimini. Forse – aveva chiosato – a lui più che la felpa serve una piantina, almeno sa dove andare”.

Schermaglie ante-voto. Che ha visto chiudere al 9,5%, l’ex 5 Stelle, Luigi Camporesi (oltre l’11% alle precedenti comunali da candidato sindaco pentastellato), finire poco oltre il 2% le liste di sinistra ‘Rimini People’ e ‘Rimini in Comune’ e brindare la lista ‘Patto Civico’ (una delle cinque) a sostegno di Gnassi, diventata secondo partito cittadino dietro al Pd con un bel 13,8% e che promette di condizionare, come una cambiale pesante, l’azione di governo del nuovo-vecchio sindaco. Organizzata e promossa dal parlamentare dell’Ncd, Sergio Pizzolante, un tempo duellante – e nemmeno poco – con Gnassi e i democratici, ha aggregato esponenti delle categorie economiche riminesi intorno al primo cittadino. Che non potrà non tenere conto dello loro istanze. Non una stampella evidente come Verdini e i suoi per il Pd nazionale ma, certo, più che importanti per l’esecutivo gnassiano.

Già, perché in Riviera il Pd ha pure tenuto con il 33,4% (mentre la Lega Nord accreditata di ben altri numeri ha strappato un 12,3% e Forza Italia il 7,5%) e Gnassi può cantare vittoria – soprattutto se si confrontano i numeri riminesi rispetto a quelli di altre principali realtà locali e regionali, da Cattolica a Ravenna a Bologna finite al ballottaggio per i democratici – ma la sensazione è che, più ancora che il partito, sotto l’Arco d’Augusto, dove è andato al seggio il 58,6% contro il 68,3% delle precedenti ‘comunali’, si sia votata la persona. Che, di fatto, abbia trionfato Gnassi – grazie anche al contributo delle realtà civiche e non a supporto che hanno dragato, complessivamente, il 22,46% delle preferenze – in una crescente personalizzazione del voto.

Moneta sonante – nel bene e nel male – al tempo della disaffezione collettiva verso la politica. Con il corollario dell’uomo solo al comando a prescindere dalla partecipazione. Anche a Rimini.
Dove – diversamente dalla vicina Riccione in cui un paio di anni fa ha trionfato il centrodestra – continua l’esperienza del centrosinistra, seppur innervata da Pizzolante e i suoi, e dove resta l’incognita di cosa sarebbe successo se in campo ci fosse stato il Movimento 5 Stelle. Diviso con due liste, nessuna delle due capaci di ottenere la certificazione dello staff casaleggiano. Chissà.

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