Partiti e politici
Riforma? No, grazie
(nella foto il futuro ex premier impegnato in un gesto cristico, chiaro riferimento alla tradizione della satira Classica in cui il potente, suo malgrado, finiva spesso – stante l’inattesa piega degli eventi – a commettere atti di coprofagia).
Dopo le elezioni amministrative si disse che “Milano aveva salvato Renzi”. Noi scrivemmo qui che Milano aveva dato a Renzi il preavviso di sfratto. Ieri è arrivato lo sfratto.
Il ragionamento era molto semplice: la storia si ricorderà del renzismo – almeno in questa sua prima maniera, vedremo se ce ne saranno altre – come il tentativo di superare la dialettica tra berlusconismo e anti-berlusconismo della Seconda Repubblica attraverso l’inclusione di parte dell’elettorato di centro-destra nelle fila degli elettori del partito di centro-sinistra.
Quel delirio di camicie bianche Boggi con le maniche arrotolate, oppure l’occhialino intellettuale di Billy Costacurta seduto in platea alla Leopolda o ancora il viso giocondo di Trottolino Verdini quando ride e scherza con la Boschi alla buvette: scegliete voi l’immagine coordinata che preferite, nessuno può negare che questo renzismo era basato, di fatto, sullo sfondamento delle Colonne d’Ercole un tempo custodite dai cattolici Arlecchino Mastella e Pierdivorziando Casini.
E il candidato sindaco di Milano Beppe Sala, di quell’idea, ne era la rappresentazione plastica perfetta: un pettinatissimo dirigente scelto dalla Moratti in persona, (tanto che lo stesso Berlusconi avrebbe voluto candidarlo nelle fila di Forza Italia) che al primo dibattito pubblico dichiarò bellamente di non avere alcun pregiudizio di sorta verso Comunione e Liberazione.
Peccato che Beppe Sala, al primo turno, andò malissimo e per salvarlo il PD milanese dovette inventarsi un remake de “Il Nemico Alle Porte”: pareva che i fascisti stessero per invadere Milano, serviva a tutti i costi una chiamata alle armi della sinistra in chiave inglese e tuta blu. Venne perfino montata una surreale polemica su un’iniziativa editoriale de “Il Giornale” per dare al candidato di centro-destra l’aria del facinoroso estremista.
Sala si salvò per poche striminzite migliaia di voti, dopo averne persi innumerevoli rispetto a Pisapia, ma a restare a terra fu proprio il renzismo che in quelle elezioni o perdeva male o perdeva malissimo o per sopravvivere doveva snaturarsi in un patto con una sinistra che con la Leopolda c’entra come un paio di Superga per entrare al Just Cavalli.
Personalmente, con Matteo Renzi ho avuto lo stesso rapporto che ha avuto Marco Predolin – il vecchio conduttore de “Il Gioco delle Coppie” – con Michelle Hunziker. Come Predolin perse la testa per Michelle quando lei era una sconosciuta, anche io mi innamorai di Renzi quando lui nemmeno faceva i titoli di giornale. La sua prima Leopolda fu un Epifania per chi crede – come il sottoscritto – che il problema principale di questo Paese sia la tragica e totale mancanza di opportunità per chi cerca di costruirsi una carriera, una famiglia, uno straccio di futuro senza avere alle spalle nessuno. Renzi parlava di Partite Iva da rilanciare, di liberalizzazioni, di tassazione da spostarsi dal lavoro alle cose.
Ma proprio come Predolin, anche io dovetti andare incontro a una brutale e prematura disillusione. Se per lui il disincanto assunse la forma della voce nasale di Eros Ramazzotti, per me fu la sciagurata legge sugli 80 euro: quella mancetta davanti a cui perfino Achille Lauro si sarebbe tirato indietro, divenne il simbolo di un leader che, una alla volta, rinnegò ogni singola idea a cui noi sostenitori della prima ora avevamo creduto come poveri gonzi.
E così, con la famosa Rottamazione diventata una riedizione più mesta e abborracciata del governicchio democristiano, con riforme inefficaci nella sostanza ma spacciate per snodi epocali, con giornalisti cacciati dalla Rai (Floris) con metodi berlusconiani sostituiti da altri giornalisti amici poi cacciati a loro volta dalla Rai con metodi ancora più berlusconiani (Giannini), con una riforma della stessa Rai che ridisegnava i rapporti tra politica e servizio pubblico secondo il modello sadomaso di mistress e slave, con lungaggini determinate non dal Bicameralismo perfetto ma da leggi scritte con i piedi e rimandate indietro dalla Consulta, con una maggioranza garantita da una serie di stampelle umane acquistate al mercato di riparazione come nemmeno Galliani coi parametri zero, con un livello di crescita così deprimente che a leggerne i numeri sembra di leggere la classifica dell’Inter, si arriva al referendum Costituzionale.
Il quale prima è presentato, da Renzi, come un Referendum su lui stesso: o me o il Diluvio. E quando la gente corre in massa a comprarsi l’ombrello, ecco che lui cambia idea e dice che si sono tutti sbagliati, che non si tratta di un voto su di lui, ma di un voto sul merito.
Così si mollano giù gli ombrelli, si torna in casa e ci si mette a studiare la Riforma e – al netto dei pasdaran del no a prescindere – non si capisce per quale dannata ragione sia bello, giusto e saggio avere un Senato delle Regioni. D’accordo abolire il Senato, ci mancherebbe: ma perché tenerne in piedi uno ugualmente costoso – un filo meno – che non legifera e i cui membri non sono nemmeno eletti dal popolo?
Scende allora in campo un esercito di “cittadini consapevoli”, gente che si mette la matita dietro l’orecchio – un po’ Orazio di Clarabella e un po’ salumiere di borgata – che sulla carta del prosciutto iniziano a far di conto, e a spiegare con argomenti inoppugnabili perché questa Riforma deve assolutamente essere approvata. Le loro conclusioni si riassumono in tre macro-categorie:
1) Perchè senno’ scoppia l’instabilita’!
sentenziano gli Orazi-salumieri, senza preoccuparsi di chiarire perché’ l’instabilità renda necessario un Senato inutile come una supercazzola.
2) Perchè siamo gli unici col Bicameralismo perfetto!
ribattono loro col fumo negli occhi, senza però spiegarci perchè non abolirlo questo diavolo d’un Senato invece che tenerlo in piedi in una versione inutile come la birra senz’alcol. E a guardar bene, senza nemmeno ricordarsi che è stato proprio grazie a questo Bicameralismo perfetto se negli anni delle leggi a-la-carte del governo Berlusconi il Paese non sia stato irrimediabilmente cambiato e corrotto nelle sue fondamenta.
3) Perchè così com’è ora non funzionaaaa!!!!
gridano picchiando i pugni sul tavolo, dimenticando però di pagare le royalties per l’uso di questo argomento sia al Berlusconi del 1994 che al Roberto Farinacci degli anni ’20.
Per quanto loro si siano messi di buzzo buono, dando vita a estenuanti carteggi, il punto fondamentale e’ rimasto del tutto inevaso: ovvero illustrare per quale motivo ci fosse la necessità, per risolvere tutti i problemi di cui soffre il Paese – problemi che Renzi stesso magnificamente descriveva quando era solo un brillante amministratore toscano – di costituire un Senato delle Regioni.
Con questa domanda si arriva al giorno del voto, il cui esito non ha, e non deve avere, per Renzi, il sapore della sconfitta: perchè qui siamo ampiamente oltre – siamo nella situazione che illustra la foto d’apertura, omaggio alla grande tradizione della satira. Oppure, se preferite, siamo allo 0-4 dello Steaua Bucharest contro il Milan di Sacchi nella Coppa dei Campioni 1989. Siamo alla sconfitta totale di una molteplicità di idee, o forse di un’idea sola: l’idea dell’uomo in chiodo e camicia che piace a sciure e compagne, a operai e cummenda e se ne sta solo al comando.
Si capisce oggi che questa idea non solo non esiste, ma forse non è mai esistita, è stata solo il frutto di un voto in libera uscita alle Europee 2014 poi rafforzata da un sistema mediatico in ginocchio, per la mancanza di soldi e la fottuta paura di ritorsioni.
È ovviamente difficile dire che cosa accadrà ora, soprattutto dopo aver letto stralci dell’autobiografia del grillino Di Battista, magari immaginandoselo mentre offre il Ministero dell’Agricoltura a Fedez.
Certo resta, e resterà una domanda: è più irresponsabile l’elettorato – colpevole del rifiuto a sottomettersi all’eterno ricatto del “piuttosto che niente è meglio piuttosto” – oppure è più irresponsabile chi si è giocato tutto, il Governo e il proprio capitale politico, con la roulette russa del referendum – e per giunta stringendo nell’altra mano una riforma mal scritta, di cui non si è ancora capito quale fosse l’urgenza?
P.S. La vera nota lieta di queste elezioni e il punto da cui ripartire davvero, secondo chi scrive, è stata la meravigliosa campagna elettorale a cui abbiamo assistito in questi mesi. Per mesi la gente in Italia ha discusso, litigato, gridato, perso ore di sonno, pianto, riso, perfino presa a schiaffi per la politica. Alla faccia di paraguri e maestri di vita da social network, si tratta di un unicum mondiale di cui andare fieri: eterodiretti in campo economico e finanziario, il referendum ha dimostrato che sulla politica il cuore lo facciamo ancora battere, e nessuno ce lo porterà via.
Non è cosa da poco, anzi.
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