Partiti e politici

Ricomincio da zero: perdere male ancora in Lombardia

14 Febbraio 2023

Il PD e il centro sinistra hanno perso le regionali in Lazio e Lombardia, malissimo.

Se nel Lazio c’è stato nel tempo un ricambio, in Lombardia la sconfitta è bruttissima non per le proporzioni, sostanzialmente intonse a fronte di una partecipazione crollata, ma per le aspettative legate al fatto che fosse la volta buona per il Covid e il centrodestra che aveva perso pezzi. Manco per niente, Moratti non ha preso il 10%, meno dei 5 Stelle al loro massimo lombardo del 13,9% nel 2018 (oggi non hanno nemmeno il 4%, come non supera il 4% nessun partito della coalizione di centrosinistra tranne il PD).

Il centrosinistra è inchiodato a un terzo dei votanti, né più né meno, quello vale. Qualcuno ha detto che “la gente vota politics, non policy” e l’avversione per il centrosinistra degli elettori liquidi (senza contare la maggioranza degli elettori che si è data allo stato gassoso) ha potuto molto di più della voglia di premiare chi aveva fatto bene col Covid (Lazio) e di punire chi aveva fatto malissimo (Lombardia). Niente, manco dopo una settimana di Sanremo.

Il dato più depressivo della sconfitta del centrosinistra in Lombardia è che riporta per l’ennesima volta le lancette indietro, non registra alcuna variazione nemmeno nel passaggio da un riformista nel 2018 a un radicale nel 2023, acqua fresca. Manco da dire “dai che stai andando bene”, nessun progresso, come nelle diete in cui si svuota il frigorifero di notte. Come fai sbagli, e nemmeno un improbabile ticket Moratti – Majorino che fosse riuscito a sommare tutti i voti dei due avrebbe vinto, per dire come stiamo messi.

Che si fa allora? Si aspetta che l’avversario al centro dell’attenzione si consumi e attragga su di sé un po’ di avversione? In Lombardia, con il Veneto al sola regione a mia memoria mai governata dal centrosinistra, serve di più che sperare che gli avversari, mai così sfiatati a un appuntamento elettorale, crollino. Non crolleranno, nemmeno sotto il peso delle palesi contraddizioni interne a una coalizione che esprime un Presidente di un partito ormai minoritario nel centrodestra.

Essendo, a differenza di Calenda, adulti con una predisposizione all’analisi anche delle cose che non hanno funzionato senza sotterfugi, urge ancora una volta dirsi cosa non funziona, da prima e di nuovo, per cui Fontana rivince la Lombardia in carrozza nonostante tutto.

La narrazione corrente del PD, anche quella che guarda sorridendo solo alle due opzioni, sinistra radicale o riformista, senza considerare che oggi sono la scelta tra tappezzeria e tempera su una casa inagibile semplicemente non interessa, non mobilita chi sta a casa e fa uscire di casa le persone per votarti contro.

Allo stesso modo non funziona la narrazione centrifuga, che parte da Milano, dove il centrosinistra vince forte, e si riversa fuori.

Milano partecipa alla Superlega delle metropoli globali, che infatti sono governate in maggioranza da amministrazioni progressiste, perché più empatiche verso la visione del mondo di chi vive nelle città, per scelta e perché se lo può permettere, e attrezzate a rispondere alla loro personale agenda di priorità, problemi, interlocutori, messaggi. Chi sta fuori delle città, o ci arriva magari sui treni bestiame delle Nord, se è andato a votare ha detto che quell’agenda non era la sua, quei problemi non erano i suoi, non suoi gli interlocutori e non efficaci i messaggi.

Se, come pare, Elli Schlein vincerà le primarie del PD a Milano, si andrà chiudendo il cerchio della trasformazione del maggiore partito della Sinistra in una moderna forza radicale larga a decisa trazione urbana, alleata della borghesia engagé nello scegliersi i nemici e le priorità, con un’idea tutta urbana del lavoro e dei diritti, perfettamente complementare alla finanza e ai palazzinari poliglotti, green e sorridenti. Sarebbe la versione politica del Bosco verticale. Ma anche se vincesse Bonaccini, si è già visto, le cose non sarebbero poi così diverse e soprattutto rimarrebbero poco e punto interessanti.

Ci vorrebbe qualcuno che invece di scegliersi i suoi presunti sfigati preferiti, avesse il coraggio di mettere davvero le mani dentro il caldo stallatico di una società vecchia, spaventata, che fa fatica a vedere il futuro e per questo ha scelto chi da trent’anni gli dice che va tutto bene. Che ad esempio iniziasse a interrogarsi su come gestire la bomba demografica, che svuota i capannoni e rende chi c’è (anziano) sempre più arrabbiato con chi non c’è (giovane) e dunque arroccato sulla conservazione di imprese, memorie, speranze senza futuro. Vale per la Lombardia come per tutta la Provincia italiana, dove i piccoli imprenditori che non riescono a stare al passo sono un pezzo di nuovo proletariato che a troppa sinistra fa schifo.

Sollevare i problemi non vuol dire che si possano risolvere, anzi, e la storia della Lombardia è paradigmatica di come è possibile che questioni evidenti siano passate per troppo tempo sotto silenzio, salvo poi rimanere basiti di fronte ai risultati elettorali.

La speranziella è che Pierfrancesco Majorino, che è politico vecchia scuola, rimanga in Lombardia per costruire qualcosa che non può in nessun modo limitarsi all’agenda attuale, ma lavori per costruire un legame con tutti quei soggetti, quei territori e quei bisogni che oggi non parlano con la Sinistra. La quale Sinistra dovrebbe smettere innanzitutto di guardarli dall’alto in basso, pretendendo di sapere tutto di problemi e soluzioni.

Governeranno ancora quegli altri per l’ennesima volta da trent’anni a questa parte, dunque il tempo non manca.

 

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.