Partiti e politici
Ricominciamo da capo
E’ un’ironia del destino che, proprio nel giorno della marmotta, l’Italia si sia trovata a ricominciare da capo il percorso politico già compiuto alla fine del 2011. Come allora, un governo politico ormai indebolito dalle fratture tra gli alleati e guardato storto dell’establishment nazionale è stato costretto alle dimissioni; come allora, la difficile situazione del Paese ha giustificato l’iniziativa del Presidente della Repubblica, che ha scelto di incaricare un non politico per dare vita a un esecutivo “di salute pubblica”.
Date le premesse, è facile intuire quale sarà il seguito: il governo Draghi verrà sostenuto da una coalizione di larghe intese, che comprenderà sicuramente il Partito Democratico (da sempre vocato alla responsabilità), i centristi assortiti, Forza Italia, uno spezzone del Movimento Cinque Stelle e, forse la Lega; la devastante crisi economica, combinata con l’obbligato ritorno a un minimo di controllo dei conti pubblici (non appena la pandemia verrà – forse frettolosamente – dichiarata conclusa) soffierà sul fuoco del risentimento sociale; a un certo punto i populisti si defileranno, lasciando il cerino in mano al Pd e, alle successive elezioni, la rabbia degli elettori verrà incanalata nel voto populista, che però non avrà le sembianze innocue del grillismo, ma probabilmente quelle più inquietanti di una destra xenofoba, se non neofascista.
Vien da chiedersi come mai una previsione così facile non sia bastata a frenare le pulsioni autodistruttive della nostra classe politica. Ad implodere non è stata infatti solo la maggioranza giallo-rossa, ma tutto il Parlamento: il quale, incapace di risolvere la crisi al proprio interno, ha costretto il Capo dello Stato ad imporre l’ennesimo governo istituzionale. E’ vero che questa soluzione ha il pregio di prolungare la legislatura, deresponsabilizzando tutti i partiti rispetto alle scelte dolorose che andranno prese nei prossimi mesi; ma quegli stessi partiti rischiano di pagare un prezzo alto in termini di consenso, dopo una così plateale dimostrazione di inadeguatezza.
Ciò che colpisce nella vicenda, è l’ostinazione con la quale il Pd e il M5S hanno difeso il governo uscente, rappresentato dalla figura del Presidente del Consiglio; ma anche la pervicacia con la quale il partitino renziano si è adoperato per abbatterlo. Gli osservatori più superficiali hanno attribuito questi comportamenti a un’eccessiva personalizzazione dello scontro, o a calcoli sbagliati; a mio giudizio, però, le ragioni sono molto più sostanziali.
L’improbabile maggioranza giallo-rossa, nata sotto gli auspici di quello stesso Renzi che ha voluto porvi fine, doveva essere un espediente di breve durata per permettere al Machiavelli di Rignano di realizzare due obiettivi politici in un colpo solo: svuotare il Pd dall’esterno, richiamando eletti ed elettori verso la nuova compagine di Italia Viva (una sorta di En marche! in salsa toscana) e delegittimare definitivamente il M5S, mediante il procurato fallimento del governo Conte bis. Il piano era già avviato circa un anno fa, ma l’arrivo della pandemia lo ha “congelato”; durante i successivi dodici mesi, tuttavia, qualcosa è cambiato. La sconvolgente esperienza della prima ondata del contagio ha indotto gli italiani a stringersi intorno al proprio governo; alcuni ministri hanno dimostrato una stoffa non disprezzabile; il sollievo dei mesi estivi ha generato un certo gradimento verso il Presidente del Consiglio. Tutto ciò ha trasformato la faticosa coabitazione iniziale tra Pd e M5S in una possibile alleanza stabile garantita dalla figura di Giuseppe Conte e ha creato la prospettiva di una normalizzazione del quadro politico italiano, finalmente polarizzato tra una destra conservatrice a trazione leghista e un centro-sinistra credibile e, perciò, potenzialmente vincente.
Si capisce allora perchè Democratici e Pentastellati non abbiano voluto rinunciare al proprio campione e perchè, al contrario, Italia Viva si sia posta l’obiettivo di scalzarlo dalla scena politica: solo così il piccolo partito di Renzi può riconquistare la visibilità cui ambisce e interrompere un sodalizio che lo avrebbe reso marginale. La stessa destra, che nei suoi proclami rivendica il ritorno alle urne, verrà avvantaggiata da una pausa durante la quale si compirà la frantumazione del campo avversario.
Si capisce anche perchè l’operazione Draghi sia stata invocata da gran parte dell’establishment economico e opportunamente sdoganata presso l’opinione pubblica dalla stampa che vi fa riferimento: presto o tardi, l’emergenza pandemica finirà; toccherà tracciare una riga, tirare i conti e decidere a chi tocca pagarli – e un esecutivo non politico è più rassicurante rispetto a quello che, in questi mesi, ha allargato le maglie del reddito di cittadinanza e ha persino osato nominare la patrimoniale.
Il risultato di questa nuova fase politica sarà, per l’ennesima volta, lo smarrimento del Pd nei meandri del governismo e del compromesso con la destra; per gli elettori di sinistra, un ritorno al consueto stato di orfanità politica che, per un attimo, avevano sperato di superare; per chi tra di loro non vuole arrendersi, la necessità di ricominciare, di nuovo, tutto da capo.
(fonte dell’immagine)
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