Partiti e politici

Restare il migliore dei peggiori: sulle rovine, Renzi continuerà a ridere

1 Maggio 2018

Ci mancava anche che Renzi non dicesse la sua. Per come noi ci immaginiamo la comunicazione politica, in Europa (e forse nel mondo) non sarebbe esistita un’attesa così spasmodica e generosa per un perdente che non aveva ancora spiegato le ragioni di una indimenticabile sconfitta e già ragionava su future, possibili, rivincite. Ma qui siamo in Italia, e siamo – soprattutto – nel Pd. Il Partito Democratico dovrebbe averci abituato a non sorprenderci più, di nulla e di nessuno, e questa tendenza a-emozionale ha trasformato la gente di sinistra un popolo di anime smarrite. Restano accampamenti ancora molto agguerriti col mondo, come sono i renziani, ma nel complesso si può legittimamente parlare di sbandamento collettivo. Nel merito, l’evidentemente non più dimissionario segretario ha detto molte cose condivisibili, sul decoro, sulla dignità delle persone, sulle differenze di stile, e sui comportamenti. In buona sostanza, ne ha fatto una questione di Coerenza. Era lui stesso ancora in carica, ricordate?, che si lamentava di quel doppio registro malsano, per cui tacere in direzione e poi organizzare luoghi extra moenia per tramare ai suoi danni. E infatti così è successo: alla “Amici miei” ha preparato un “rigatino” di rara efficacia presentandosi in prima serata da Fazio poi godendo e inorgogliendosi, a cose fatte, di ascolti ragguardevoli. Epperò, ragionando con un minimo di senso pratico: tutti si aspettava il Renzi, chi lo ama e chi lo detesta, dunque l’operazione ci stava e stava perfettamente dentro il suo mood di questo tempo di covatore di minime vendette. Qui, nessuna sorpresa. Piuttosto, gli si è sentito dire anche di “tornare nelle periferie”, come da kit di sopravvivenza piddina, e qui sono sopravvenuti alla memoria alcuni dei sentimenti del nostro: l’amore per gli orologi di marca, una Colnago da qualche migliaio di euro regalatagli da premier ed esibita in piazza il 25 aprile, i pied à terre ad affitto gentile.
Del perché un perdente di successo sia ancora e nettamente il migliore della Compagnia dei Celestini, tutti gli orfani di una sinistra immaginaria, ci sono varie interpretazioni e a noi soprattutto una parrebbe chiara, limpida come acqua di fonte: perché nessuno dei suoi oppositori, competitor, avversari, odiatori,, ecc, rimanda a mondi nuovi. Nessuno ha la capacità di interpretare la contemporaneità, anche fosse in una forma più lieve e delicata, nessuno sviluppa energie futuribili, nessuno è “esteticamente” interessante, nessuna ci sta dicendo un concetto emozionante.

Tutti, inesorabilmente, rimandano a un passato che richiama immediatamente alla memoria i due partiti della nostra storia, la Dc e il Pci. Se pur con età non compatibili, nessuno dei viventi sfugge a quelle storie: Franceschini, Orlando, Martina, Zingaretti, per dire solo di eventuali combattenti la segreteria. Non hanno alcuna possibilità di smuoverci qualcosa dentro. Nei linguaggi, prima ancora che negli atti. Perché anche in politica ci sono le farfalle nello stomaco. Oh già. Molti le avvertirono in quel tempo lontano di Renzi, che pure veniva da quelle storie ma aveva la capacità di stare “dentro” il suo tempo.

Facciamo una controprova. Quanti di questi signori, restituiti alla società civile, troverebbero un lavoro, comprendendo Renzi? Pur con nessun innamoramento per la trasformazione pedissequa di società civile in politica, dobbiamo registrare che esiste tutta una classe dirigente politica che non è più minimamente allineata allo sviluppo del mondo esterno. Ai suoi cambiamenti, alle sue esigenze, all’enorme stagno dei «Lavoretti», un bellissimo libro di Riccardo Staglianò che racconta la parcellizzazione del lavoro tradizionale in migliaia di altri piccoli lavori molto meno, se per niente, protetti (con anche troppa calma, Repubblica ha finalmente travestito un suo cronista da bicista di «Deliveroo»). È un problema se questi nostri dirigenti politici non hanno sostanzialmente mai lavorato, se hanno creduto di proteggersi con il funzionariato dentro i partiti, se un tempo aveva forse un pallido senso fare carriera nei partiti e oggi invece appare come un macigno sulla comprensione dei fenomeni di questa terra. Non è un caso se qualche settimana fa, forse con una qualche ingenuità, qui da Stati Generali si era invocata una discesa in campo, quella di Carlo Calenda (http://www.glistatigenerali.com/partiti-politici/renzi-vuole-piazzarci-una-boschi-qualsiasi- noi-vogliamo-calenda-segretario-pd/) , e il nostro, esattamente il giorno dopo l’appello, si era presentato in sezione per tesserarsi Pd. Troppa ingenuità, si diceva, ma anche la coscienza di aprire la finestra del Nazareno a qualche aria meno fumosa e tossica.

Pur non avendo anch’egli mai lavorato un giorno, il nostro Matteo un qualche “lavoretto” lo troverebbe ancora. Perché più smart, veloce, dalla compilation facile facile. È un tesoretto esiguo, che può durare ancora un tempo limitato, ma che gli permetterà una felice sopravvivenza da agiato senatore della Repubblica sino a quando il Partito Democratico non liquiderà sé stesso per un luogo nuovo in cui ridiscutere totalmente l’accesso alla politica.

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