Partiti e politici
Renzi, la corruzione ha potere quando non ci si fa votare: a quando le urne?
Caso di scuola 1: un ministro del tuo governo resta impigliato nelle imbarazzanti intercettazioni che sappiamo, in cui l’aspetto più grave, più ancora di eventuali favori ancora da dimostrare, è “semplicemente” la sua totale dipendenza nei confronti del mammasantissima di stato, che lo rivolta come un calzino, gli scrive i discorsi, gli indirizza la politica del ministero. Un pupo e un puparo nella più classica delle scenografie teatrali. Il premier, avendo formato un governo sulla forza elettorale, sul pieno e responsabile consenso dei cittadini che lo hanno regolarmente votato, non ci mette mezzo minuto a chiedere al ministro interessato di presentargli le sue dimissioni, come gesto alto e nobile della “nuova” politica, ma anche e soprattutto frutto di una maggioranza che risponde interamente al Presidente del Consiglio, che dunque ha nel suo scrigno l’inestimabile gioiello della non-mediazione. Purtroppo, questo “Caso di scuola 1” non è automatico come Matteo Renzi vorrebbe. Egli non si è fatto votare, dunque vive sul compromesso tra partiti per niente eterogenei, ma solo attaccati con la colla del Potere.
Caso di scuola 2: vale tutto quello che abbiamo detto prima, che abbiamo descritto nel “Caso di scuola 1”, con una variabile molto indipendente. Il tuo governo non è stato votato da nessuno, all’epoca venne definito “colpo di Palazzo” (cit. Berlusconi sul governo D’Alema), per cui adesso ti trovi nella spiacevole situazione per cui un gesto che dovrebbe essere automatico da parte di un ministro – e se non fosse automatico, tu premier lo faresti diventare automatico in pochi secondi – mette in forte imbarazzo il governo.
Si legge in queste ore del “gelo” di Renzi dopo aver saputo dello scandalo che ha coinvolto (soprattutto) Maurizio Lupi. E tutto ciò a poche ore dalle sue parole pronunciate tra i cantieri dell’Expo, ch’egli si vanta di aver restituito alla legalità, come un dono inestimabile della sua gestione. Tutto questo patrimonio, il premier non ha intenzione di gettarlo alle ortiche per gli affari personali di un ministro che non è neppure del suo partito e dunque poco riconducibile a logiche interne. Qui c’è da mediare, da tessere, da fare opera di convinzione, ma nessuno, tra i maggiorenti del Pd, in queste ore è riuscito a dire questa semplice frase: “Per un motivo di sensibilità, ma anche di semplice opportunità, è meglio che il ministro faccia un passo indietro”. Non ha avuto il coraggio di dirlo il sottosegretario Del Rio a “Otto e Mezzo”, neppure mezzo sospiro coraggioso è uscito da Simona Bonafè che ieri sera sdottoreggiva da Formigli, insomma imbarazzo totale in attesa di un’illuminazione del premier.
Tutto ciò è figlio di una sola cosa: un governo-pateracchio, concepito con dei democristiani antecristo, con cui si sapeva perfettamente come sarebbe finita. Non tanto perché le persone siano per male in sè, ma solo per quella chimica della politica che qualcosa ci deve avere pur insegnato e quei democristiani, che in ogni caso Matteo Renzi ha conosciuto nella sua pur giovane carriera, non cambieranno mai, avranno sempre e solo quelle logiche lì, quei meccanismi da sottoscala che fanno incazzare grandemente tutti i ragazzi che oggi vogliono affacciarsi alla politica.
Questa storia ha comunque un insegnamento, quasi un percorso inevitabile. Bisogna mettere in sicurezza le riforme più possibili, più vicine a conclusione, e poi c’è l’obbligo morale di andare a votare il più presto possibile. Queste sono tutte cambiali che il governo Matteo Renzi paga alla “necessità” di prendere il Potere, probabilmente inevitabile in quel momento, ma ormai dal fiato sempre più corto. Ci si deve poter fidare ciecamente dei propri ministri, frutto di scelte meditate, di merito solido (ma avete letto che Lupi non sa una assoluta cippa del suo ministero?), di collegamento diretto con gli elettori che ti hanno dato fiducia. Senza questo passo, il governo andrà nei guai molto presto.
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