Partiti e politici

Renzi è già un dimenticato. La politica ci muore dentro ogni giorno

9 Gennaio 2017

Nessuno parla più di Renzi. Nessuno ci parla più di Renzi. Scomparso da tutto. Dimenticato, digerito, archiviato. Due indizi – quello decisamente più privato e quello pubblico forse più rilevante – di una qualche significanza. Si pencola tra due interpretazioni: la maligna, da detrattore autentico dell’età renziana, sarebbe che il nostro non ha lasciato traccia, purissima impalpabilità ancora più evidente adesso che ha tolto (momentaneamente) il disturbo. Escluso invece che di traccia ne abbia lasciata troppa, sia nel bene che nel male, altrimenti da qualche parte si sarebbe festeggiata la caduta del piccolo tiranno di provincia e da qualche altra caldissime lacrime avrebbero irrorato pallide guance. Invece niente. La meno esasperata (delle interpretazioni) è che gli italiani adesso dimenticano molto in fretta. Non nel senso, maligno e cristiano, di perdonare chi si comportava male, ma che semplicemente “fanno scorrere”. Se uno è passato, è passato. Si va al prossimo con la consapevolezza, inconsapevolmente drammatica, che uno vale l’altro. Tra i due sguardi, forse estremi ma ognuno con le sue buone ragioni, ve ne è un terzo, sotto forma di sentimento, che probabilmente li racchiude entrambi: la disillusione. E non vi è dubbio che Renzi tornerà, badate bene, e chi s’illudesse del contrario commetterebbe un errore di finta ingenuità. Ma quand’anche fosse, nessuno se ne curerà più di tanto. Insomma, non scalderà i cuori come da core business originario. E al prossimo errore, che questa volta gli sarà definitivamente fatale, potrà tranquillamente dedicarsi alle sue memorie. (Nell’attesa vi è un libello Feltrinelli di pronta beva che il nostro sta per dare alle stampe sulla sua idea di buona politica.)

Non siamo più orfani di nessuno. Che non sia il raggiungimento di un obiettivo virtuoso? Non dipendere più dalla politica, la politica che non ci cambia più l’umore,  non ci indigna, nè entusiasma, anche se continua a cambiare le nostre condizioni sociali. Certo, possiamo ancora dividerci nel mentre delle cose – è accaduto per la battaglia referendaria – ma è questione contingente, persino laterale all’interno dello scorrere dei giorni “tutti uguali”. Poi si torna (felicemente?) atarassici, deprivati d’ogni dipendenza politica, che siano le idee, scomparse da lustri e lustri, o gli uomini, i leader, i protagonisti della cosa pubblica. L’ultima volta che ci siamo appassionati alla politica? Ognuno avrà il suo momento. I giovani neanche quello. Non pervenuta.

Renzi pensava di riscattarci da questa condizione. Lo pensava sinceramente e di questo gli va dato atto. Per un tratto se ne coltivò persino l’illusione più generale. L’illusione che finalmente il Potere si potesse affrontare con il rovesciamento rivoluzionario di una prospettiva altrimenti ineludibile: che l’uomo, con la forza spirituale e la forza delle sue idee, potesse controllarne la parte più pericolosa, quella perversa fascinazione che risucchia le anime nel gorgo più infido della considerazione di sè, del sentirsi onnipotente e indispensabile, rispetto allo stile, al decoro, alla sobrietà, persino ai canoni estetici che consiglierebbero il confronto e non il conforto (degli amici). Che lo potesse se non proprio dominare, almeno controllare, controllando prima di tutto se stesso. Non è accaduto – ed è un peccato – con Matteo Renzi, che dello sbarco al potere ha dato la sua personalissima interpretazione, diversa dai suoi predecessori e convincente per tono e per quell’idea molto condivisa da tutti noi che ci fosse un gigantesco apparato politico-burocratico da contrastare se non proprio da abbattere. E spingendo idealmente con lui come in una mischia di rugby, a un certo punto ci siamo accorti che eravamo soli e aggrovigliati al nulla, mentre lui si portava la palla tutto solo in meta tra due ali di folla.

Oggi che lo stadio è rimasto vuoto, il massimo che si può fare – a sentire in giro – è votare “turandosi il naso”. Una prospettiva malinconica, che molti anni fa, era il ’76, si applicò alla Democrazia Cristiana forse con una qualche ragione in più di oggi. C’erano grandi partiti e grandi personalità, c’era la storia, c’era il doppio stato, e molto altro ancora. C’era molto di terribile e anche per questo sorsero le nostre passioni giovanili per una politica che era opposta a quella del Palazzo. Oggi che è rimasto solo  un palazzo cadente e senza nemmeno più la storia, votare un partito politico è molto più di un atto di fede.

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