Partiti e politici

Renzi è di destra? Fa comodo a tutti

18 Ottobre 2015

Ma davvero Renzi sta turlupinando gli italiani di sinistra con una politica di destra? Se così fosse, e sono in molti ormai a pensarlo, dovremmo assistere a un progressivo distacco di elettori, di deputati, di intellettuali di area, insomma una specie di rivolta sociale, e invece ciò non sembra accadere, a meno di non voler considerare Fassina, Civati e D’Attorre come sentinelle privilegiate di un popolo sommerso e sofferente che sta preparando la sua rivoluzione. Ma questo non è. Anzi, abbiamo forte il sospetto ch’essi stessi si interroghino su questa (apparente) contraddizione, che da una parte li spinge a fantasticare su quel giorno felice in cui il dittatore sarà cacciato con ignominia, ma che nell’attesa (infinita?) di quel momento, hanno il ragionevole timore che questo esercito non si formerà mai.

È un dilemma che in fondo attanaglia una parte di elettori, anche se in termini radicalmente diversi, ai quali naturalmente i modi, lo stile personale e politico, le scelte primarie di Matteo Renzi possono anche non piacere e apparire di destra, ma che al tempo stesso diventano strumenti indispensabili per poter vivere da protagonisti all’interno dei propri recinti sociali. È una condizione non così consueta per le anime della sinistra, e in fondo una delle capacità quasi mefistofeliche del presidente del Consiglio è stata quella di avere lavorato sulle lacerazioni, sulle contraddizioni, di questo piccolo mondo antico, trasformandole in narrazione ragionevole e positiva.

Basti pensare alla differenza decisamente sensibile, in termini di percezione e digeribilità politica, tra due alleanze che in qualche modo hanno fatto la storia di questi anni: da una parte quella di Prodi con Mastella, che venne vissuta con l’enorme disagio della necessità, ma anche con la consapevolezza interiore che sarebbe finita male come poi regolarmente finì. E quella di oggi, con un altro democristiano come Alfano. Ecco, in questo caso, pur in presenza dell’enorme disagio della necessità, Matteo Renzi ne ha cambiato la prospettiva. E l’ha cambiata in profondità. Si potrà dirne naturalmente tutto il male possibile, ci si potrà interrogare sul grado di cinismo politico che ne anima la collaborazione, ma la percezione di un disastro imminente non c’è. E non c’è soprattutto tra i cittadini-elettori, pur con tutti i mal di pancia  del caso. Renzi è riuscito in questa grande impresa: far apparire un’alleanza totalmente impura come forma politica compiuta, al punto che – e qui si torna alla questione iniziale – non è raro che la destra ufficiale di governo si intesti il valore delle riforme portate a buon fine (ultimo vanto di Alfano, la Legge di Stabilità di destra). Ovvio che momenti di ingenuità politica, dovuti soprattutto alla giovine età, possano portare Renzi a correre qualche rischio, come sulle Unioni Civili, dove la libertà di coscienza, che non è questione etica ma pura strategia politica, avrebbe dovuto essere certificata sin dai primi momenti dell’alleanza, come tema sensibile e dunque “esterna” ai pericoli di una rottura di governo.

Se una questione così fondamentale – come considerare il presidente del Consiglio e segretario del Pd, autentico «usurpatore» dei valori della sinistra – non scatena la rivoluzione come sarebbe scontato, qualche motivo ci deve pur essere. Come mai non c’è questo abbandono di massa, come è concepibile che barrando la casellina del due per mille ci siano ancora dei buontemponi che versano degli euro al partito, e soprattutto come caspita è possibile che girando per le città il segretario del Partito democratico non venga selvaggiamente insultato come meriterebbe un orrido destro che si spaccia per democratico?

Misteri, direte voi. No. È tutto maledettamente chiaro. È tutto sotto i vostri occhi, lo potete notare sui giornali o nelle televisioni, lo potete percepire nei discorsi dei vostri conoscenti, al bar, in uno studio medico, in un mercato, insomma dove c’è socialità mettetevi in posizione di ascolto. Non percepirete opposizione. O la avvertirete in minima parte. Dopo venti anni terribilmente forti, in termini di emozioni, scontri, divisioni sanguinose, di interi blocchi di magistrati all’azione su un uomo solo, dopo venti anni solo anti, in cui certi giornali hanno rappresentato plasticamente un’ossessione, sotto forma magari di dieci-domande-dieci, ecco, quegli stessi giornali hanno perso uno straordinario punto di riferimento. E ora sono smarriti, persi nel vuoto. E non (se) ne fanno neppure una di domanda, neppure su un misero scontrino. Così i cittadini, i quali per mobilitarsi debbono essere sospinti da ragioni estreme, al limite del conflitto sociale, e queste ragioni oggi i cittadini non le percepiscono. Perché sono “solo” politiche, come è solo politico il dilemma se Renzi sia da considerare un destro che si spaccia per democratico. E le questioni politiche, pur terribilmente importanti, non scaldano più il cuore. Matteo Renzi lo sa perfettamente, al punto che sul concetto di «disinvoltura» ha costruito la sua formazione. Disinvoltura personale e disinvoltura politica. E oggi, la gara più straordinaria a cui ci tocca di assistere è quella di tutti noi che siamo ai blocchi di partenza e non vediamo l’ora di lavorare per lui, di entrare anche solo per qualche momento in un suo cerchio, anche magari in un cerchietto, basta che sia più o meno magico, in cui il premier ci assegni un ruolo che svolgeremo con grande impegno nel nome del Paese. Un abbraccio ruffiano e consociativo per non essere dimenticati (noi). Niente a che vedere con gli anni grassi nei quali dividersi è stata una delizia, impancarsi a presidi etici praticamente un obbligo, lasciare sdegnati le aziende del Malvagio una necessità morale, scrittori, intellettuali, “maschi, femmine e cantanti”. Persino ora con la bagattella Mondazzoli ce la menano con i principi.

Per cui, cosa volete che ci interessi sapere se oggi Matteo Renzi è di destra o di sinistra? Quesiti ammuffiti che #labuonascuola ha già chiuso in un armadio della storia.

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