Partiti e politici

Renzi di Pisapia non sa che farsene: vuol buttare tutti a mare

1 Luglio 2017

Ci dovrà pur essere una qualche indulgenza plenaria per un elettore di sinistra che da mane a sera si trastulla tra i capricetti del Bomba – la mattina a Milano – e un certo sentimento da buona borghesia milanese che fa la sua prima apparizione il pomeriggio nella piazza della vittoria. Per concludere poi, sentito l’uno in streaming e l’altro “live”, che se ci sono due cose più sideralmente distanti sono proprio quelle. Quelle due sinistre. Umanamente, innanzitutto. Se il Bomba ragiona ormai per battute da avanspettacolo, l’avvocato è abituato a un suo permaloso rigore. Il giorno che la legge elettorale “tedesca” cadde alla Camera, Renzi pensò immediatamente di sostituire Berlusconi con Pisapia come fosse un banalissimo cambio merci. Senza questioni di merito, senza approfondimenti, giusto perché perso un dieci (per cento) si va in cerca di un dieci sostitutivo. Ecco, forse al bar, ma nel mondo di Pisapia non funziona così.

Ci diceva in piazza un vecchio amico come David Sassoli: «Metti che oggi, qui, passa un finlandese che non sa nulla di noi. Curioso, si ferma ad ascoltare. Alla fine, chiamando casa, dirà che ha sentito un comizio di quelli di sinistra. Non è che ci vuol molto, basta ascoltare, gli argomenti, le passioni, i sentimenti sono quelli. L’altro (Renzi) invece ti dice: “Se non ti va bene, scendi”. Ma come scendi, ho pagato anch’io il biglietto, perché devo scendere». Ecco, questi sarebbero i due mondi che devono allearsi, trovare un punto di sintesi. Ma quando mai? Solo una legge elettorale da scemi come la nostra forse produrrà un mezzo miracolo, costringendoli allo stesso tavolo. Sempre che Pisapia faccia il suo mezzo miracolo, che al momento è certamente nell’idea e nella testa di un buon visionario come lui (Milano è l’inizio di tutto), ma sulla cui traduzione materiale, le solide realtà di Roberto Carlino tanto per scherzarci su, non giureremmo. Perché nella piazza di ieri, per intenderci, si andava da Ingroia al delicato Nicola Piovani. La crediamo l’estensione politica più allargata della storia del mondo. C’era Ingroia, capite. Si aggirava. Ma in cerca di che? Come può pensare ragionevolmente, un bravo cristiano di sinistra, di votare Ingroia? Naturalmente Pisapia, anche per la sua formazione professionale, uno come Ingroia non lo assocerebbe politicamente a nulla e dunque dovremmo essere garantiti. Ma poi, certo, in piazza giravano ancora attrezzi democristiani di un tempo mesozoico, tipo Angelo Sanza o Enzo Carra, che fiutano il vento nei capelli e si preparano il pettine. Pisapia, conoscendolo, farà presto conoscere una sua squadra, degli uomini riconoscibili. Quelli faranno la differenza. La loro storia, la decenza umana, le professioni, la considerazione guadagnata in tanti anni di onorata milizia. Un po’ come quel Giuliano di Milano. Aveva storia, decenza, famiglia. E una sufficiente dose di indipendenza.

Tutti aspettano Prodi. Sassoli lo dice apertamente: «È ufficialmente nel guiness dei santoni politici. Lo sa e ci gioca, il professore. Sa di avere in mano la carta decisiva. Ma nessuno è in grado di prevedere se mai la giocherà, se salirà su un suo predellino per benedire Giuliano. Ci sono forse quattro o cinque persone al massimo che posso tentare di convincerlo a fare un gesto aperto, chiaro, consapevole. Vedremo». C’è anche una battaglia enorme dentro il Partito Democratico, adesso, in questo tempo, in questi giorni. Molti stanno pensando di lasciare Renzi al suo destino, mollarlo, lasciarlo solo. È una mossa ad affetto, fortissima. Ma è anche la mossa che il Bomba s’aspetta, anzi la sollecita lui stesso come in una battaglia finale, dove a rimanere in piedi sarà uno solo. “Andatevene pure, faccio da solo”, minaccia Renzi e quelli allora si prendono paura. Ci dice un collega che sa molto di Renzi: «Lui se ne fotte, se li perde è contento, stare con le sue Alessia Rotta della situazione» Come dire, accontentarsi del quasi nulla perché tanto il tutto è lui.

Sembra una lotta disperata e forse lo è. È la lotta di un partito incredibile che ha scelto di cambiarsi il sangue. Ricordate l’autoemotrasfusione? Alla fine i tratti del volto sono sempre quelli, ti chiami alla stessa maniera, ma dentro, nelle vene, non scorre più il tuo sangue. Questo è il Partito Democratico.

 

(Immagine di copertina tratta da Articolo Uno – Movimento Democratico e Progressista)

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