Partiti e politici
Renzi democristiano? Appunti dal match con De Mita: scontro fra due Italie
Il gigante e il ragazzino. Il maestro e l’allievo. Il barone e il velocista. Un match, quello tra Ciriaco De Mita e Matteo Renzi, che ha forse sfatato – con l’abissale distanza tra due mondi, due generazioni, due concezioni della politica – il mito di un Renzi categoricamente democristiano. Trascorsi giovanili a parte e al netto di facili ironie.
Verbosità intellettualistica, chiaroscuri, avvitamenti fumosi, ironia appuntita e continui riferimenti al valore del passato per l’illustre novantenne; e poi il consociativismo, il mito del proporzionale, il potere come monumento e come élite (l’ipotesi di un “Senato dei notabili” è stata esemplare), l’idea di un grande centro instabile ma imperituro, eterogeneo, esteso e tentacolare: la rappresentazione di una Prima Repubblica che quasi non esiste più, ma che l’inconscio (o la convenienza) di tanti vorrebbe ancora prolungare. Un’Italia di cui si rimpiangono certo quella profondità di pensiero e quella preparazione politica, ma anche quella resistenza di ideali, oggi in larga parte perdute in cambio di un populismo mediocre e di un’approssimazione sgangherata.
Dall’altro lato, incarnato nella figura di un rampante leader quarantenne, c’è un mondo veloce, concreto, scandito da obiettivi chiari e votato all’efficacia comunicativa. Tutto orientato al futuro e alla sua retorica vittoriosa. Con qualche slogan di troppo, ma sempre nell’ottica di una semplificazione necessaria. Qualcosa che riporta più a un modello di impresa, che non all’immagine di un pantheon dorato. Un mondo che pensa il potere come possibilità di azione e come strumento forte (ma transitorio) di governo: oltre il mito della monumentalità e dello status sociale. Parole chiave: rapidità, snellezza, sburocratizzazione, nettezza dei timbri, dei poli, delle scelte.
Torna alla mente quella frase di Zagrebelsky, venuta fuori durante il dibattito con Renzi su La7: la Democrazia Cristiana ha avuto il merito di tenere insieme, per decenni, le molte anime del Paese. Tutto torna.
Lo scontro allora è fra questi due universi: il No che preserva e il Si che spinge avanti, la conservazione e il bisogno di innovazione. Con tutti margini d’errore, i dubbi e le imprecisioni, che ogni sfida per il cambiamento porta con sé, inevitabilmente.
Per il resto, sorprendente l’arroganza del più anziano, immobile sul suo trono (memore delle infinite poltrone), lucido, arguto e iper suscettibile, capace di scagliare pesanti giudizi personali contro l’avversario. Più light e scaltramente contenuta (ma non senza colpi bassi) la proverbiale arroganza del Premier, che ha messo a segno le sue stilettate usando più la cronaca politica che non il giudizio morale: la mancata candidatura nel 2008 da parte di Veltroni e la conseguente uscita di De Mita dal Pd, l’inconcludenza di tre bicamerali, il poltronismo, l’arco costituzionale, le responsabilità di una certa gestione delle cose negli anni ‘80/’90.
E al margine di questo scontro – tutt’altro che soporifero, come qualcuno paventava – c’è forse una riflessione ben più larga sui destini del PD e del centrosinistra in generale. In tal senso la data del 4 dicembre potrebbe essere cruciale. Che all’indomani della più grande partita di Renzi, qualunque sia l’esito alle urne, non possa nascere un contenitore forte e nuovo, definito davvero dai concetti di progressismo e riformismo? Una sintesi sì, ma lontana dalla classica fusione a freddo tra DC e PCI. L’opposizione della vecchia dirigenza democratica – da D’Alema a Bersani, sconfitti e non disposti ad affiancare le nuove generazioni – è in tal senso significativa.
Una sintesi lontana anche da quell’equivoco e retorico Partito della Nazione, percepito come un pastiche indistinto e privo di visione, un asso pigliatutto in cui destra e sinistra convivono nel nome delle poltrone. La valenza politica del Referendum, in tal senso, è straordinaria.
In chiusura, un voto sullo show: avvincente, istruttivo, gradevolissimo. Un’altra bella intuizione di Enrico Mentana. Un fuoriclasse dell’informazione, tra due politici di razza. Così vicini, così lontani.
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