Partiti e politici
È 5 a 2 per il Pd e per Renzi è una doccia fredda
Bisogna saper perdere, non sempre si può vincere. La vecchia canzone degli anni ’60 risuona nelle casse di Largo del Nazareno, nella sede nazionale del Partito democratico con le immagini di Raffaella Paita che scorrono in replay. E la sconfitta in Liguria non è l’unica nota stonata nella sinfonia che sognava Matteo Renzi: alle Regionali 2015, un anno dopo il trionfo alle Europee, per il presidente del Consiglio le brutte notizie sono superiori a quelle belle. Al di là dei trionfalismi di facciata e delle cautele prese a ridosso del voto («Le elezioni locali hanno valenza locale»).
Le cinque vittorie vanno infatti dimezzate, senza nemmeno scomodare la piaga dell’astensionismo record. Solo nelle Marche, infatti, c’è stato un successo con un volto nuovo: l’ex sindaco di Pesaro, Luca Ceriscioli; un primo cittadino alla ribalta, stile Renzi. In Toscana c’è stata la conferma della presidenza di Enrico Rossi, ex nemico del renzismo e ora alleato di convenienza. Un successo che non arriva proprio con rottamatore d’antan. Ma in questo quadro meglio non sottilizzare dalla parti della segreteria del Partito democratico. In Umbria, infatti, il problema è più grande: l’affanno di Catiuscia Marina, che vince con il 42,79%, è la conferma dell’arretramento in un territorio un tempo considerato un feudo rosso. Ma del resto il passaggio di Perugia al centrodestra, il segnale era arrivato con forza: anche in questo caso la rottamazione è rimasta uno slogan e gli elettori iniziano a presentare il conto.
Le altre due vittorie arrivano dal Sud. In teoria sono motivo di soddisfazione, nella pratica una minaccia di due figure ben note non certo aduse a cedere al renzismo. In Campania ha conquistato la presidenza della Regione quel Vincenzo De Luca, su cui si staglia l’ombra dell’«impresentabilità». E soprattutto non incarna propriamente la quintessenza del cambiamento, visto che la sua esperienza politica è iniziata nel Pci vivendo profonde trasformazioni fino a sfociare nello strapotere esercitato a Salerno e nel 40,8% di voti ottenuti in questa tornata elettorale. L’altro successo meridionale porta la firma di Michele Emiliano, che in campagna elettorale in Puglia non ha nemmeno ricevuto la visita ufficiale di Renzi e ha già annunciato di voler sperimentare un modello pugliese inserendo nella giunta il Movimento 5 Stelle. Senza dimenticare che non ha mai digerito lo sgarbo delle Europee 2014, quando non fu candidato come capolista così come era previsto. Per tutta risposta Emiliano decise di non correre per l’Europarlamento. Ora è stato eletto governatore con il 47,2 per cento.
Fin qui le “belle” notizie per il presidente e segretario. Le brutte raccontano della débâcle in Liguria, una delle Regioni chiave di queste elezioni, con Raffaella Paita nettamente sconfitta dal centrodestra. Una pugnalata ancora più dolorosa, perché i voti di Luca Pastorino (9,28%) avrebbero potuto consentire la conquista della Regione. D’altra parte Matto Renzi non ha mai cercato di fermare la fuga a sinistra, perciò le accuse agli scissionisti suonano pretestuose. Infine, il Veneto ha consegnato un ko durissimo tale da tramortire le ambizioni di scalata al Nord. Renzi aveva scommesso con forza su Alessandra Moretti, facendosi volutamente ritrarre in auto con lei e sostenendo la tesi della contendibilità della Regione che invece resta un regno leghista con Luca Zaia governatore incontrastato nonostante la scissione di Flavio Tosi. Il 50,4% lo incorona come la miglior performance delle Regionali 2014. L’ex eurodeputata del Pd si è fermata al 22,8%, molto meno della metà rispetto all’avversario.
Il centrodestra, in qualche modo, è vivo e competitivo. Le previsioni di affondamento sono state smentite da un risultato sopra le attese in Liguria, dove Giovanni Toti strappa un successo più ampio di ogni rosea previsione vincendo con il 34,53%, e in Umbria, nonostante la sconfitta di Claudio Ricci (39,24%). I due candidati sono espressione di una vocazione moderata, in grado di tenere insieme Area Popolare, Lega Nord, Fratelli d’Italia con Forza Italia. Insomma il centrodestra come lo abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, sebbene con pesi interni differenti.
Il ritorno al punto di partenza della storia presenta però un problema. Oggi il centrodestra si afferma come un’alleanza acefala, priva di una vera guida nonostante il Carroccio sia il vero motore in termini di consenso. Nei voti di lista la Lega Nord è davanti a tutti gli altri partiti di centrodestra e addirittura in Toscana, con il 16,2%, si afferma come seconda forza politica alle spalle del Pd. Tuttavia, Forza Italia – al 12,7% in Liguria e all’8,5% in Umbria – è competitivo con i suoi candidati pacati come Toti e Ricci, dai toni tutt’altro che salviniani, e può rivendicare questo aspetto tamponando così il tracollo di voti. Paradossalmente il miglior risultato per i forzisti è maturato in Campania con il 18,3%, dove però Stefano Caldoro ha perso. Al di là della questione campana, il fatto che impone una riflessione a Matteo Salvini che puntava alla famosa Opa estremista per cannibalizzare il centrodestra. Il numero uno della Lega rischia ora di incocciare contro il progetto dei Repubblicani di Silvio Berlusconi, che prevede con una nuova leadership per battezzare la rinascita dei moderati e cercare la guida di un’ampia coalizione anti-Renzi. Che, con buona pace della crescita leghista al centro Italia, resta imprescindibile per cercare la vittoria.
Si è invece rivelato prematuro il de profundis che molti hanno intonato al Movimento 5 Stelle. Le elezioni del 31 maggio 2015 segnano semmai non solo la tenuta ma addirittura il suo rilancio. I voti di lista sono indicativi: in Liguria, Marche e Puglia esce dalle urne come seconda forza politica, altrove è comunque competitivo. Una centralità riacquisita nonostante un Beppe Grillo meno appariscente, quasi marginale, mentre gli altri esponenti del M5S sono stati maggiormente in prima linea; il tutto, poi, a dispetto del fatto che storicamente a livello locale non ha mai sfondato. Certo, le speranze di conquistare almeno una presidenza di Regione – la Liguria con Alice Salvatore – è svanita appena gli exit poll sono stati sostituiti dai dati reali. Resta comunque la certezza che le Europee non hanno infranto le 5 Stelle, che ora sono pronte a rilanciare le proprie ambizioni. Un punto resta perciò ineludibile: il M5S non è un fenomeno passeggero come testimonia il 24,8% ottenuto in Liguria e il 21,8% delle Marche, oltre al 18,2% in Puglia e al 17,8% in Campania. Ora c’è però una sfida alle porte: raccogliere o meno l’apertura di Michele Emiliano in Puglia per sviluppare un progetto innovativo, almeno su scala locale.
Infine, le Regionali hanno tenuto a battesimo la nascita del “Podemos italiano”, il movimento Possibile di Pippo Civati che prenderà forma nei prossimi giorni ma che si era già portato avanti candidando Luca Pastorino alla presidenza della Regione Liguria. Anche se il risultato non ha superato il 10% sperato, il messaggio a Renzi è stato recapitato: lo spostamento a centro del Pd è un azzardo, perché si perdono per strada i voti a sinistra con il pericolo di non recuperarli effettivamente al centro o, peggio, a destra. Soprattutto se non c’è il segnale di rinnovamento, come ha sempre promesso quello che si presentò come Rottamatore.
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