Partiti e politici
Referendum: quale sarebbe la grande novità sul voto giovanile?
Si fa così: si pubblica una tabella, o un paio di tabelle, ci si fa un bel commento, si cercano spiegazioni plausibili, si fanno anche un po’ di interviste a suffragio di quella tesi e, infine, quella notizia diventa la grande novità del momento. Non si parla d’altro.
E’ accaduto per Donald Trump: la rivolta degli americani contro l’establishment. Come ha acutamente sottolineato Luca Ricolfi sul Sole 24 ore di qualche settimana fa, se Hillary avesse vinto in Wisconsin, Pennsylvania e Michigan, se cioè 50mila elettori avessero votato per lei invece che per Trump, facendola diventare presidente degli Usa, nessuno avrebbe titolato o pensato a quella rivolta. Che pure c’era, ed era presente anche all’epoca di Obama. Ma non era in grado di prendersi la prima pagina.
Anche da noi, all’indomani del referendum, abbiamo assistito a qualcosa di simile, parlando dei nostri giovani. Le tabelle uscite da diverse indagini demoscopiche sul voto giovanile ci hanno informato che c’è del malessere in quell’elettorato, che ha votato NO per dare un segnale alla classe politica, in particolare a quella di governo, della loro insoddisfazione generale. Così non va bene. E’ ora di cambiare.
Sarà davvero così? E’ proprio in questa occasione che i giovani si sono decisi a voltare le spalle al Pd e alla sua maggioranza parlamentare?
Torniamo indietro nel tempo. Nel 2010, in pieno governo Berlusconi, la quota di giovani vicina al Pd era di circa 6-7 punti inferiore a quella degli anziani. Nel 2013, con Bersani candidato del centro-sinistra e durante l’ascesa dei 5 stelle, i giovani 18-35enni che sceglievano il Pd erano quasi 15 punti in meno rispetto agli anziani. Votava Pd il 17-18% dei giovani, mentre votava 5 stelle oltre il 30% dell’elettorato giovanile.
La tendenza si era un po’ invertita durante i primi mesi del governo Renzi, che aveva convinto un significativo numero di ragazzi e ragazze a passare sotto la bandiera Pd, per arrivare intorno a quota 25-26%. Negli anni successivi, però, quella quota si è leggermente ridotta, per assestarsi sul 20-21%, poco più della metà dei votanti per il Movimento creato da Beppe Grillo.
Questo è dunque il trend dell’ultimo quinquennio. I giovani non sono mai stati particolarmente vicini al Partito Democratico, soprattutto nell’era pre-Renzi. Con il premier uscente la situazione è un pochino migliorata, ma non certo in grado di infastidire i 5 stelle, che sono ormai da anni il maggiore ricettacolo del voto giovanile, con la sola eccezione dei laureati, dove la gara è molto più aperta.
Oltretutto, la scelta per il NO degli elettori più giovani non si discosta molto da quella delle classi di età più elevate (tra i 35 e i 55 anni). Il NO è viceversa molto più debole tra gli ultra-sessantenni, notoriamente più vicini ai partiti di sinistra.
Dove starebbe dunque la “novità” della notizia? Si riscopre ciò che già da tempo era ben noto, accanto all’altra interessante riscoperta: che l’elettorato più periferico, in Italia come nel resto del mondo occidentale, è più vicino al centro-destra (o, se volete, ai movimenti populistici) che al centro-sinistra. Una situazione presente da almeno 20 anni, dall’epoca dei primi trionfi della coppia Berlusconi-Bossi, ma che ad ogni consultazione elettorale viene sottolineata come se fosse una grande novità.
Se la memoria storica non fosse un optional, quanti giornali in meno si riempirebbero…
Devi fare login per commentare
Accedi