Partiti e politici
Quello status di parlamentare che ti fa sentire subito #stocazzo
È del tutto chiaro che per noi avidi lettori di giornali, i «Racconti dell’’Estate» di Luca Lotti sono una fresca centrifuga anti-solleone (kiwi, zenzero, mela verde, banana) dove c’è un po’ di tutto e per tutti i gusti e si va dal piazzar giudici nelle procure giuste a raccattar pacchi di sterline a Londra vendendo diritti della Premier. Se n’è fatto, politicamente e giustamente, un caso, il caso Lotti, cioè di un singolo deputato al quale il partito non ha assegnato alcun mandato e che però briga su faccende su cui non avrebbe titolo. La questione dunque c’è. Ma, come si diceva, pur avidi quotidianamente delle sue grandi imprese, il caso personale di questo giovanotto ci interessa relativamente. Vorremmo capire, semmai, se i suoi comportamenti possono rappresentare – oggi – lo spirito medio del parlamentare. Se la sua disinvoltura, e anche un certo menefreghismo rispetto ai principi ispiratori della politica, possono rappresentare il segnale, se non addirittura il termometro, di un deciso cambio di passo rispetto all’interpretazione antica del ruolo di parlamentare della Repubblica Italiana. Primo punto, particolarmente delicato: la capacità di muoversi autonomamente all’interno di una struttura complessa com’è quella di un partito politico. Per Lotti, una burocrazia interna del Pd, da cui tutto discenderebbe, è come se non esistesse. Che ci sia un segretario poi, importa ancora meno, Lotti considera Zingaretti poco più del nulla.
Certo, l’idea d’essere un figlio di (e di chi sappiamo) ne aumenta percentualmente la faccia di bronzo, come sentendosi un corpo totalmente estraneo al luogo (politico) dove vive e che gli dà, tutto sommato, decorosa ospitalità e lauto stipendio. Questa bubbola che lo stipendio te lo danno i cittadini perché ti votano la lasciamo alle anime belle, lo stipendio, anche se non materialmente, te lo dà il partito che ti investe di un “ruolo” senza il quale saresti il nulla assoluto. Diciamo, rubando un’espressione molto cara a Roma, che Lotti si sente un po’ #stocazzo. Casi come quello di Luca Lotti sono all’ordine del giorno all’interno dei partiti, anche se in questo caso l’impatto con quella polveriera che è la magistratura ne ha centuplicato gli effetti. Ma giusto per andare indietro ai governi precedenti, già nel luglio 2017 raccontammo di un intreccio del tutto perverso tra un deputato del Partito democratico – e che deputato visto che era il responsabile economico di Renzi, Yoram Gutgeld – e una potentissima azienda privata come Unipol. Lo raccontammo sulla scorta di una bellissima inchiesta di Gianluca Paolucci della Stampa, da cui emergeva, con tanto di intercettazioni, che Gutgeld, deputato della Repubblica Italiana, in realtà si disponeva amabilmente ad accogliere tutte le istanze aziendali anche in barba all’interesse dei cittadini. Da qui, quel nostro titolo poi neanche tanto provocatorio: “la domanda è semplice: ma il Pd lavora per Unipol o per i cittadini?”.
Quando noi ridiamo, e molto guardando i social, della disciplina militare che anima i Cinquestelle, da una parte esercitiamo meritoriamente una forza critica, perché quei meccanismi ci appaiono totalmente anacronistici e antidemocratici, ma dall’altra forse sottovalutiamo quella tendenza irrefrenabile della nuova vita politica italiana che ha portato i parlamentari a considerarsi corpi totalmente autonomi rispetto ai movimenti di appartenenza. Si sostanzia dunque un enorme paradosso, per cui quel “senza vincolo di mandato” della nostra sacra Carta fu concepito proprio per tutelare l’estremo diritto all’autonomia intellettuale da parte del parlamentare, all’interno di quei partiti della Prima Repubblica che in realtà vivevano di grandi profondità e di grande storie. Tanto che l’insubordinazione assumeva i tratti dell’eccezionalità e non della norma. Quell’articolo allora aveva una grande senso, toccava corde profonde, e sanciva un diritto inalienabile della nostra democrazia parlamentare. Si può dire che sia ancora così? Solo per tornare un attimo a bomba: ma che Lotti potrebbe ragionevolmente proteggersi con l’art. 67 della Costituzione?
Oggi, forse, una buona e moderna discussione sull’argomento potrebbe rivelarsi indispensabile.
Del resto, la morte dei partiti tradizionali ha trasformato l’identità del singolo deputato. Che non avverte su di sé alcuna responsabilità storico-politica, non ha principi ispiratori da sostenere, né valori definiti da dover difendere. L’ultimo confronto, anche aspro, lo si è avuto all’interno del Partito Democratico quando Matteo Renzi ne ha, in un certo senso, rimosso la storia. Ne aveva diritto da segretario e gli elettori per un certo tratto lo hanno seguito. Ha cercato apertamente i voti di destra, ha, come dire, disintermediato. Si è sentito un po’ #stocazzo, sempre come dicono a Roma. Ma è stato, se vogliamo, il pesce-pilota del nuovo mondo e del nuovo modo di essere parlamentare, dunque c’è una sua traccia molto marcata nella storia nuova di questo tempo. Tutto ciò investe le forze politiche di una responsabilità enorme: come si cerca oggi la nuova classe dirigente, quali sono i criteri di selezione, quali le regole di ogni “casa”?
È difficile, se non impossibile, oggi, 2019, immaginare un partito troppo rigido, che prevede addirittura le espulsioni se vi sono gesti e azioni intellettualmente autonomi. Ma, per converso, una casa non può nemmeno diventare un bordello dove ognuno fa quel che gli pare. La soluzione c’è e sta negli uomini. C’è bisogno di un leader. Un partito, per tenere insieme le fila di gente poco assistita dalla storia e dai principi, ha bisogno del suo leader. Dove non si riconosce una storia, perché magari non c’è o non è così radicata, si riconoscerà l’uomo. Gli si darà fiducia, alle volte anche oltre i suoi errori. In mancanza di un leader, i movimenti moriranno lentamente, perché tutti, indistintamente, si sentiranno un po’ #stocazzo.
(immagine tratta dal profilo Facebook di Luca Lotti)
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