Partiti e politici
Quello che ho capito di Elly Schlein (e perché non la voterò)
Da quando Elly Schlein ha smesso di essere solo l’ennesima politica inquieta per diventare una possibile futura Segretaria del secondo partito italiano ho cercato di capire il senso di un fenomeno, la sua ascesa, che al fondo faccio fatica a comprendere, soprattutto nelle sue dimensioni. Ci ho pensato, giusto il tempo che da flâneur ha senso dedicare ai fenomeni curiosi solo relativamente essenziali, ma ho trovato la chiave solo quando ho parlato con una mia collega di cui ho stima intellettuale e personale e alla quale la nostra, a differenza mia, piace: it’s the identity, stupid!
Figlio non pentito di altra epoca politica, non apprezzo la Schlein non tanto e non solo per alcune caratteristiche e posizioni che non mi convincono, dal paraculismo con cui non risponde alle domande scomode (perché è sessista chiedere se ha dietro il mitologico culo di pietra di Franceschini?) a un’idea iper semplificata, e dunque per forza riduzionista e superficiale, della società e del mondo, ma anche per essersi fatta veicolo della resa del Partito democratico alla balcanizzazione identitaria. Ossia l’idea che io posso tranquillamente raccontare il Paese solo attraverso le lenti non della mia parte politica, ma della mia microcomunità, e lanciare OPA alla comunità più grande, senza alcuna analisi, non dico fine ma perdio decente, della società, delle sue dinamiche, dei suoi cambiamenti.
Mi sono preso la briga di leggere, sentire e compulsare lo Schlein pensiero (ho letto persino la mozione, che immagino non abbiano letto per intero nemmeno i suoi estensori) ed è evidente che si tratta del compendio di desiderata di un pezzo estremamente relativo e parziale della composizione di un Paese così biodiverso come il nostro. Un pezzo che, sarà un caso o forse no, coincide con quell’elettorato borghese e urbano che ne ha legittimamente decretato il successo nelle primarie interne al PD: la primazia dei diritti civili su quelli sociali, il disinteresse per piccole imprese e manifattura, un’idea del lavoro iper parziale, l’abuso di concetti come patriarcato che andrebbero maneggiati con molta maggiore cura se non si è su Freeda.
Fino a nemmeno troppo tempo fa, gli eredi culturali di un partito che analizzava (con le lenti deformanti dell’ideologia ma con acribia che manca) ogni bava di vento per comprendere le pieghe della società a cui aderire, avrebbe relegato simile contributo all’iper minoritarismo, perché troppo parziale e non in grado di parlare a strati più vasti della società.
Oggi non è più così, parlare e convincere gli altri, fare sintesi, non è più un valore. Ha vinto il modello Fridays For Future: tutto, subito e se non lo fate siete dei criminali, o quantomeno delle brutte persone. Ognuno rappresenta in modo iper proporzionale i propri interessi e priorità, parla ai suoi e parla innanzitutto alla loro individuale identità. La scommessa di Schlein è che questa agenda corrisponda a quella di tutto un elettorato che oggi ha smesso di votare PD perché (vero), il combinato disposto di sincretismo e moderatismo di governo ha pastorizzato ogni radicalità del messaggio.
Io non lo credo, ma credo che qualora vincesse Schlein il PD si trasformerebbe definitivamente in un partito radicale votato dalle borghesie urbane ben studiate ed engagé, ossia chi vota oggi PD meno quella parte meno estetica ma interessante che popola la Provincia geografica e culturale del Paese.
Tutto a posto se vince Bonaccini allora? Nemmeno per idea, anche se lo sfidante ha, per provenienza e formazione, un’idea meno parziale del Paese di cui si candida ad essere in qualche modo un leader. Viene da un posto di capannoni e piccole imprese e ha governato una delle poche regioni in cui la mancata alternanza ha mantenuto una qualità del governo locale se possibile crescente, come dimostra il boom dell’Emilia Romagna. Andassi a votare, sceglierei lui.
Non so però se andrò, anzi probabilmente me ne starò a casa. Tanto non moriremo della Destra, che c’è già (basta agitare i babau), e soprattutto non c’è niente di meglio di una festa con poca gente per cambiare non solo il dj, ma tutta la musica.
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