Partiti e politici
Quelli che vogliono Fazio/Che Guevara, hanno tenuto in vita Silvio per 20 anni
Se avete ancora bisogno di capire quale pozione magica ha tenuto allegramente in vita – politicamente, sessualmente, qualunquemente – Silvio Berlusconi in questi ultimi vent’anni, e se già non fossero illuminanti i comportamenti passati della sinistra (da Rosy Bindi a Flores d’Arcais tanto per fare due nomi su millanta) che nella loro foga assassina gli hanno allungato il brodo della giovinezza, a spiegare il fenomeno a scoppio ritardato, molto ritardato, ora ci sono gli irriducibili collaterali. Quelli che ancora nel maggio 2015 ti fracassano i coglioni perché Fabio Fazio a «Che Tempo Che Fa» non gli avrebbe fatto le domande che doveva. E perché non gli ha ricordato il frodatore fiscale che è, il puttaniere maximo che è, e perché voleva fare ministro della Giustizia quel galantuomo corruttore di Previti e perché, perché, perché.
Nella foga del giorno dopo, questi irriducibili giapponesi beccati a urlare ancora contro Berlusconi con una decina d’anni di ritardo, hanno offerto una plastica e convincente dimostrazione, al pari di un venditore di enciclopedie, di come si tiene in vita la sacra salma. Dimenticandosi del contesto, tralasciando il carattere delle persone, insomma costruendo un mondo che non c’è pur di avvalorare la tesi secondo cui un certo conduttore si era mostrato indegno del Servizio Pubblico che lo paga profumatamente. Omettendo soprattutto il dato fondamentale e cioè che Fabio Fazio in tutta la sua vita non ha mai fatto una sola domanda corrosiva o men che tranquillizzante.
Pretendere l’altra sera che il conduttore potesse trasformarsi in un novello Che Guevara solo per titillare quel pastone per cani che è l’antiberlusconismo è stato un inaspettato regalo per il tenero Cavaliere alla vigilia dei suoi ottant’anni. Novella maramalda del giorno dopo si è rivelata persino Selvaggia Lucarelli, a cui il Fatto aveva destinato il commento sulla trasmissione. Cimentandosi in un’impresa forse più grande di lei, l’ottima Selvaggia, salita su un carro già vecchio di mille e mille battaglie, ha composto il suo compitino pulito e ordinato di antiberlusconista aggiunta con espressioni del tipo: “Il conduttore non gli ricorda che la pausa se l’era già presa, visto che dichiarava di aiutare Ruby e strappone varie (…) Infine gli mostra una foto di Dudù e premette che quella sarà la sua ultima domanda. Suspense a casa e in studio: “Presidente, ma è felice”. Banale, ma visto l’andamento dell’intervista, è meglio di quello che ci aspettavamo, ovvero: “Dudù è castrato?” Questo il livello. Anche L’Espresso non ha voluto mancare il prestigioso appuntamento, richiamando in modo severo e inappuntabile i principi ispiratori del buon giornalismo: «Un esempio di televisione da disservizio pubblico – ha scritto Riccardo Bocca – in cui l’assenza di pudore e verve ha rimbalzato per l’intera penisola».
Insomma, non è ancora chiaro a distanza di un’eternità come ci si debba confrontare con Berlusconi. Che poi in realtà è un problema più generale e riguarda il nostro rapporto con il Potere. Per esempio, venerdì scorso a “Bersaglio Mobile” era presente il presidente del Consiglio, quello di adesso, Matteo Renzi. E di fronte a lui il direttore Mentana, assistito dalle croniste di casa La7, Sardoni e Tortora. Bene, non si sono levati alti lai per il tono della trasmissione, che non era proprio quel che si dice controinformazione. Mentana soporifero, Renzi come sempre a suo agio. Domande scomode pochine, al massimo un aprire le braccia del direttore in modo sconsolato per buttare lì il suo affondo impiegatizio: “…eh ma certo i professori protestano…
Probabilmente i “generici”, quei giornalisti che non hanno competenze strette ma sanno po’ di tutto, non devono più intervistare nessuno. Devono lasciare il campo ai “tecnici”, quelli che – numeri alla mano, dati, tabelle, e magari anche un po’ di cazzimma – sanno di che parlare. E se Mister Magoo spara cazzate, rintuzzarlo come si deve.
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