Partiti e politici

Quella tua maglietta negazionista

29 Ottobre 2018

Ha ragione Fabio Salamida: in Italia, come altrove nel mondo, c’è un preoccupante ritorno del fascismo che stiamo sottovalutando.

Nel nostro Paese si moltiplicano gli episodi che rimandano, più o meno esplicitamente, alla nostalgia del ventennio: è di ieri la vergognosa immagine della militante neofascista che, durante la “celebrazione” dell’anniversario della marcia su Roma a Predappio, ha indossato con disinvoltura una maglietta (ovviamente nera) in cui il sito di Auschwitz, luogo della memoria storica della Shoah, era paragonato a un parco di divertimenti per l’intrattenimento delle classi di liceali.

L’episodio può sembrare minore, ma è purtroppo rivelatore di un sentimento che si sta facendo strada nella massa dell’opinione pubblica: il negazionismo, che oggi è un moto dell’animo più che un’elaborazione razionale. Sminuire la portata delle persecuzioni razziali nazifasciste o addirittura negare l’esistenza dei campi di concentramento serve a cancellare le ansie che nascono da quel poco di memoria storica che ci è rimasta, di fronte allo scivolamento verso regimi illiberali in tanti Paesi dell’Occidente democratico.

La triste verità è che la democrazia ha fallito: non è riuscita a mantenere le sue promesse di giustizia e di benessere, perché non è stata in grado di imbrigliare con la legge il capitalismo globalizzato (se ne è anzi spesso fatta complice, dopo che l’unica voce critica è stata stroncata a Genova nel 2001). Per questo, dopo anni di crisi e di declino, le stanche popolazioni dell’Occidente coltivano oggi il desiderio di abbandonarla e di affidarsi alla guida sicura di un uomo forte che promette di proteggere il suo popolo da tutto ciò che lo turba; in Italia, questo sentimento pre-politico si traduce nella mitizzazione del periodo fascista, che ormai si ascolta un po’ ovunque, pur se spesso ancora nel privato e sottovoce.

Se l’aspirazione è quella di ritrovare serenità, però, diventa necessario spazzare via tutto ciò che può suscitare dubbi o remore: ecco perché serve una retorica che esalti i grandi risultati del ventennio e che ne rimuova gli aspetti più orribili. L’operazione culturale serve a spianare la via ai nuovi negazionismi, che tendono a nascondere gli effetti collaterali moralmente imbarazzanti delle politiche dei novelli uomini della provvidenza: in questa logica rientrano i tentativi di zittire le voci dei sindaci e dei preti che accolgono i migranti, degli intellettuali che contestano la discriminazione degli stranieri, delle associazioni che si oppongono agli sgomberi forzati di famiglie e bambini o delle ong che denunciano la violenza e le morti che si consumano tra la Libia e il Mediterraneo; così come le giustificazioni morali per leggi che limitano la libertà delle donne o che discriminano le famiglie arcobaleno. Tutto ciò che getta un’ombra sull’operato del leader salvifico va taciuto o legittimato, oggi proprio come accadeva quasi un secolo fa.

Si sente spesso ripetere che l’allarme per una possibile rinascita del fascismo è infondato e strumentale: dopotutto le magliette negazioniste sono solo humor nero; i cecchini che sparano sugli immigrati sono poveri esaltati; le intimidazioni contro chi fa accoglienza sono reazioni comprensibili, e così via. Questa sottovalutazione è frutto dello stesso sentimento, del desiderio di sottrarsi a ciò che è problematico e di abbandonarsi con fiducia alla guida di un capo, di un individuo eccezionale; ma è un colossale auto-inganno, perché ciascuno di noi è in grado di percepire il montare della tensione e della violenza fisica e verbale che la retorica degli uomini forti ha ormai innescato.

Cerchiamo di avere l’onestà intellettuale di riconoscere quali sono le conseguenze reali di ciò che desideriamo, delle tolleranze zero  e dei pugni di ferro, dei no way e del prima gli italiani: perché, come insegna la Storia, chiudere gli occhi, allargare le braccia o scrollare le spalle sono la via più rapida per diventare complici del Male.

 

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