Partiti e politici

Quel gran pezzo di sughero del Silvio

19 Luglio 2017

Esaurito il quarto d’ora di notorietà del figlio (che sostiene di essere stato un ministro) di un ministro della prima repubblica, tra schioppettanti fuochi di artifizio ecco epifanica la ormai leggendaria bravura di Silvio Berlusconi sotto elezioni, una capacità individuale nella quale dal primo giorno chiunque abbia fatto il mio lavoro riconosce senza equivoci il sorriso, il guizzo sfrenato  dell’impresario edile (pare tra l’altro vadano di gran moda in politica) che sa cogliere senza inutile scrupolo l’occasione, certo che gli italiani in maggioranza siano ciò che lui pensa siano (clienti o Clientes fa poca differenza). Avendo lui antropologicamente ragione evitiamoci ogni giudizio morale e guicciardinianamente osserviamo il Maestro che, peraltro, teneva nel suo salotto a Palazzo Grazioli su un pregiato tavolino una copia del Principe, con gusto mandato a memoria essendo il Silvio un secchione oltre che un inaffondabile sughero.

Stava ai servizi sociali, oggi ha intuito un vuoto della politica come nel 1994 e si butta a costruire un Albero delle Libertà con un obbiettivo esplicito per quanto ai più incredibile: quel 40% dei voti col proporzionale che Matteo Renzi accarezzò alle Europee e si impose come traguardo storico nel maggioritario (e nulla conta se col 40% alla Camera proporzionale non hai poi la maggioranza in Senato, mica fai ‘sto casino per prenderti la grana di dover governare…).

Sì, lo so, detto cosi il 40% sembra una sparata da Bar Sport ma non sottovalutatelo, lui l’ha in testa: quando tutti ma proprio tutti gli avevano detto che sbagliava e non era possibile perché l’azienda è una cosa ma la politica ha una sua specificità lui disse che avevano ragione a dirglielo però vinse lo stesso. Arrivò poi a una incollatura contro l’intero schieramento prodiano lottando assolutamente da solo (con Fini già rassegnato e stralunato per i sogni di gloria del Dottore) e ci fece trascorrere una notte drammatica, a tratti ancora oggi oscura agitata da fantasmi di brogli consumati non in attesa dei risultati ma in attesa che qualcuno dichiarasse di aver vinto. Rivinse infine con il più ampio margine numerico parlamentare della storia della Repubblica ma ebbe un solo grande limite: non riuscì mai, mai a governare per inadeguatezza sua e non per i colonnelli che gli giravano intorno. E quando se ne rese conto fuggì dall’ufficio trasformando la sua già vivace vita affettiva in un memorabile baccanale come solo si narrano nei romanzi di fine regime, con gli ufficiali chiusi nel bunker a divisa slacciata e champagne in una mano (dell’altra mano non parliamo per sobrietà).

Nell’età che fu dell’umano declino di Andreotti e Fanfani lui ora rilancia menando botte tremende al suo presunto alleato Salvini che, scommetto, uscirà a ossa fracassate dal confronto e verrà ritualmente salvato a un passo dall’urna (quella elettorale, si intende). A scuola dai preti gli raccontarono la favola del figliol prodigo, a lui non interessò il risvolto morale perché sono certo che di quei prodighi ha un giudizio pari al mio ma lui è un impresario e “venghino, venghino”, perché non chiederà ai prodighi alcun certificato che non sia quello elettorale dei loro elettori.

Altro che Amor Vincit Omnia, per Silvio il mondo è una barzelletta, o un mondo di barzellette, adesso ancor sdraiato sul lettone di Putin non ricorda bene, e alla fine, lo sappiamo già, sarà uno stupefacente caravanserraglio: con animalisti amici dei cani a sorridere sui social a fianco di cattolici tradizionali, tradizionalisti cattolici e cattolici per convenienza su un carro col crocione sobriamente conservatore; leghisti della prima e seconda ora ed eventualmente anche émigré fuori lega su un carroccio di complemento a precedere, si intende, un carroccino con felpa original;  e  poi, su uno strapuntino bene imbottito perché amano un Martini all’ora del tè, ecco i liberali per autodefinizione che si riconoscono ad un miglio per il completo grigioconfindustria e qualche stemmino al bavero. Al centro lui, Silvio, sul carro del trionfo dove spiega al tizio che gli dovrebbe sussurrare “ricordati che devi morire” che sì, capiterà ma se attende un attimo gli presenta la sua igienista dentale che è una gran brava ragazza e sa anche l’inglese.

Quello che dobbiamo darci da fare perché è finito dai tempi di Scalfaro. Quello “unfit to lead Italy”; quello nato dall’opera schumpeterianamente distruttrice (secondo loro) di Davigo e colleghi, che i colleghi di Davigo fecero inseguire da carabinieri a Napoli e dalla Finanza ovunque; quello che dopo Di Pietro vedrà sparire oltre ai dimenticati colleghi anche Davigo stesso, se va avanti così, rimanendo sulla scena di una politica che osserviamo sconsolati, rassegnati, con le pezze al culo e in  attesa se non di Godot almeno di un Draghi qualsiasi che prima o poi arrivi, risalga a bordo con la biscaglina lasciata dai vari Schettino e con un miracolo ci tolga quello amaro e ci ridia il sorriso scanzonato e beffardo che gli italiani sanno sfoderare dopo ogni tragedia. Altro che Sic Transit Gloria Mundi.

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