Partiti e politici

Quei maledetti sondaggi

20 Giugno 2015

E’ accaduto di nuovo, stavolta in Danimarca. Almeno qui c’è una scusante: è noto come da sempre in quel paese ci sia del marcio. Ma ormai sta diventando una costante. I sondaggi sbagliano, e sbagliano alla grande: dai 5 agli 8 punti percentuali. Nelle ultime tornate elettorali, si contano sulle dita di una mano più quelli azzeccati che quelli errati. Prima della sottovalutazione del popolari danesi, si contano Casson, la Liguria, Gran Bretagna, Spagna ed Israele, in parte la Francia. Solo per rimanere all’anno in corso. Non parliamo poi delle Europee del 2014 o delle nostre politiche del 2013.

E’ sempre stato così? Direi di no. Nel mio libricino “Attenti al sondaggio!” ripercorro la storia delle rilevazioni demoscopiche, e risulta certo vero che anche nel passato ci sono stati casi eclatanti e che sono, appunto, passati alla storia. Primo fra tutti quello di Truman che, nel primo dopoguerra, venne giudicato sicuramente perdente dalla Gallup (di almeno dieci punti), tanto che i titoli dei quotidiani furono anzitempo stampati con la sua sconfitta. E poi così non andò.

Erano però casi talmente isolati da entrare di diritto nei libri di storia. Oggi, bisognerebbe farlo, al contrario, quando una previsione demoscopica viene confermata dai successivi risultati. Non va bene. Ma perché accade? Per due motivi sostanziali: un elettore sempre più liquido e la desiderabilità sociale. L’elettore liquido è oggi quello con legami sempre più labili con la sua storia, con un passato di antiche appartenenze ormai dimenticate. I vecchi social-democratici danesi sono rimasti pochi, e i nuovi lo sono solo contingentemente, se c’è un leader che li convince. Poi, passano da un’altra parte, tentano altre strade, altri leader che a loro volta non li convinceranno se non per pochi anni. Torneranno di nuovo indietro, infine. Ma nei sondaggi si dichiarano spesso incerti, perché incerti lo sono davvero.

Il secondo motivo, legato più alle dichiarazioni di voto che alle intenzioni, è determinato dal tipo di scelta che gli intervistati potrebbero fare. Una scelta che a volte, e loro lo sanno, non è facilmente accettata dalla società, di cui l’intervistatore è in qualche modo il “rappresentante”. Nelle social-democrazie nordiche, dichiarare che si è un po’ razzisti, xenofobi e anti-immigrati non è sempre facile. E dunque una quota certo minoritaria, intorno al 10%, preferisce fingere, dichiararsi incerto o astensionista. Ma nei sondaggi questo non emerge. E non è possibile correggere questa distorsione, se non di poco. Alla fine, le previsioni vengono smentite. E noi rinunciamo sempre più a crederci.

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