Partiti e politici

Quattromila agenti per Salvini & c. sono un cattivo servizio alla democrazia

28 Febbraio 2015

Nessuno a Roma avrà più l’onore di quattromila agenti mobilitati. Nessuno, Papa Francesco compreso. Nessuno sarà in grado di battere un autentico record mondiale del disequilibrio, secondo quella formula per cui a un certo evento di un certo peso, corrisponderà una certa quantità di forze dell’ordine. Ho passato il pomeriggio soprattutto a parlare con gli agenti, con i graduati che avevano responsabilità della piazza, mi sembrava la vera notizia della giornata, più di Salvini, il quale pur annunciato da una cavalcata delle Valchirie padanizzata non è riuscito a catturare la mia attenzione.

Gli agenti della Guardia Finanza, persone che “fanno” piazza da dieci-quindici anni, mi hanno raccontato di non aver mai visto nulla di simile. C’era tutta Italia concentrata a Roma, tutta l’Italia delle forze dell’ordine, tutto il Lazio ovviamente, poi Liguria, Veneto, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia. Quattromila agenti deportati a Roma per un comizio di Matteo Salvini. Sì ok, c’erano i fascisti di Casa Pound, sì ok i centri sociali il giorno prima avevano fatto casino, ma i numeri delle polizie erano da G8 di Genova. Questo significa, egregi massimi dirigenti, non sapere scegliere, questo mi hanno detto gli agenti con la massima serenità, questa è come la medicina difensiva, ho aggiunto io, quando hai paura che il malato crepi lo bombardi di medicine, così il senso di colpa e la fedina penale sono salvi.

È chiaro che questa immensa mobilitazione ha un innesco e l’innesco è ciò che è successo a Roma qualche giorno fa con i tifosi del Feyenord. Una gestione a dir poco fallimentare, che naturalmente ha prodotto un sentimento di ansia. Risolto dal ministro dell’Interno nella maniera che sappiamo, mascherandolo con l’immensa esibizione muscolare di Piazza del Popolo. Ho della polizia dei miei tempi, qualcosa come trentacinque anni fa, un cattivo buon ricordo. Era una polizia che faceva anche cose immonde, ma era una polizia che sapeva scegliere. Era una polizia che diceva anche dei no, come quelli di una madre col proprio figlio. Anche questo mi hanno detto gli agenti: bisogna dire dei no, non si può tenere sempre tutto insieme per la paura che qualcosa succeda. Perché succederà.

Ogni manifestazione va pesata matematicamente, per ogni manifestazione c’è un numero esatto di agenti da mandare per le strade, poi si aggiunge una quota X per eventuali fattori contingenti e quello è il numero giusto. Non esiste gonfiare scriteriatamente, quella è paura indistinta per qualcosa che potrà accadere. Figuriamoci, sono tutti padri di famiglia gli agenti. Bravissimi ragazzi, mele marce poi ce ne sono dappertutto, anche tra i giornalisti, così siamo pari. Ma si sentono abbandonati, sanno perfettamente che ai politici dei loro destini frega assolutamente nulla, e considerano i loro dirigenti troppo appesi alla politica. Dicono che sono troppo “sotto”, non li fronteggiano alla pari, insomma non fanno valere la propria forza.

Un tempo si diceva scherzosamente che se tutti i poliziotti sono concentrati in un solo posto, in tutto il resto della città si delinquerà allegramente. Oggi dunque, fuori da Piazza del Popolo, era una splendida giornata per delinquere. Ma a parte le battute. Una polizia che non sa dosare le forze e, soprattutto, non mostra all’esterno il suo equilibrio – ed è solo l’equilibrio che dà tranquillità ai cittadini – è una polizia che non fa un buon servizio alla democrazia.

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