Partiti e politici

Quattro punti di riflessione per superare il governo populista-sovranista

12 Giugno 2019

Alla vigilia della procedura d’infrazione e di un probabile governo tecnico, necessario perché il governo Salvini-Di Maio non vuole intestarsi la finanziaria lacrime e sangue che l’Europa ci chiederà, sarebbe opportuno provare a riflettere su alcuni punti che sono e saranno alla base di ogni sviluppo politico di medio e lungo periodo.

Prima di tutto sarebbe utile capire come e perché si è affermato come assioma di ogni ragionamento politico il salto logico tra la questione migranti – che è oggettivamente un falso problema –  e il concetto di un’Europa matrigna. A livello politico – e più che altro massmediatico – i due concetti vanno a braccetto. Nella narrazione populista (sia salviniana, ma pure a sinistra, basti vedere il decreto Minniti-Orlando che si ebbe durante il governo Gentiloni) la questione immigrati è un problema. Anzi, è uno dei principali problemi del nostro Paese. Con tutto il corollario che vuole l’Italia sola nell’affrontare il problema degli sbarchi. I numeri ci dicono che non è così. Parimenti, sempre i dati oggettivi, ci dicono che il nostro Paese non ha la maggiore presenza di immigrati. Viene dopo la Germania, la Francia, il Regno Unito ed è di poco sotto la Spagna. Ma la percezione del problema è di molto sproporzionata rispetto alla realtà. E questo è uno dei pilastri sul quale si fonda il consenso a favore della Lega di Salvini. A questo falso problema, poi, il Ministro degli Interni vi collega l’idea che l’Europa sia matrigna nei nostri confronti poiché, a fronte dell’immane fardello dei migranti che grava su di noi, questa ci tiene alla catena del debito pubblico e dei relativi vincoli del Fiscal compact. Dal combinato disposto – tutto fantasmagorico – del “problema immigrazione-Europa matrigna” nasce, come reazione al tirannico duo Francia-Germania, il mito tutto sovranista del “cigno nero” di Paolo Savona e della new entry dei “minibot” del sottosegretario Claudio Borghi, che altro non sono che una cambiale 2.0, con la malcelata volontà di creare una moneta parallela all’euro in vista di una desiderata “Italexit”.

In secondo luogo, è necessario comprendere le ragioni che hanno fatto sì che si rafforzasse l’idea, oramai condivisa – anche questa sia dalla destra populista, che da buona parte della sinistra – che sia maggiormente necessario ragionare più sulle misure per finanziare il non-lavoro, che la creazione di lavoro. Non è un segreto per nessuno che il reddito di cittadinanza di Di Maio non è altro che una riedizione più rozza del Reddito di inclusione del governo Gentiloni. La differenza sta tutta nel fatto che, mentre non si comprendono quali siano le risorse e le misure a sostegno delle politiche attive del lavoro del reddito di cittadinanza (il rafforzamento dei Centri per l’impiego e l’introduzione e assunzione dei navigator si stanno via via procrastinando), il Reddito di inclusione prevedeva già dalla sua inaugurazione il cofinanziamento dei fondi europei (FSE) a sostegno delle politiche attive del lavoro. Siamo ancora in attesa di sapere gli effetti di un anno di Reddito di inclusione, mentre già possiamo prevedere il fallimento del Reddito di cittadinanza, poiché questo si sta rivelando una misura inadeguata e di fatto assistenzialista, per non parlare degli effetti legati all’aumento del lavoro nero. Ad ogni modo, in Italia non si ragiona più su come mettere in campo misure che creino lavoro, al netto della proposta del neo-segretario e neo-leader del Partito Democratico Nicola Zingaretti che, qualche settimana fa, ha proclamato il suo “Piano per l’Italia” – taglio delle tasse per chi lavora per 15 miliardi, investimento nell’istruzione per 1,5 miliardi e un fondo per lo sviluppo verde per 50 miliardi – per un costo totale stimato di 65,5 miliardi. Laddove dovesse mai governare, si verificherà la sua fattibilità.

Il terzo elemento di riflessione è legato alla scomparsa dai radar narrativi massmediatici del concetto di “meritocrazia” a tutto vantaggio della questione “povertà”, ovvero di coloro che sono costretti a vivere sotto la soglia di povertà”. Non che quest’ultima debba scomparire nell’agenda politica di un governo. Ma per lo meno dovrebbe coesistere anche la questione legata alle giovani generazioni che, cariche di competenze ed entusiasmo, stanno via via emigrando verso i paesi esteri nei quali è possibile crescere professionalmente perché caratterizzati da un mercato del lavoro più dinamico e animato dalla meritocrazia. Conseguenza è che in Italia, da almeno un lustro, si è fatto strada il concetto di “resilienza” – la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà – a danno del concetto di proattività e dinamismo. In poche parole, questa tendenza quasi crepuscolare mette in luce un Paese a vocazione conservatrice e ripiegato su se stesso. Per dirlo con uno slogan, “La resilienza ha preso il posto della speranza”.

L’ultimo e quarto elemento di riflessione è quello relativo alla tendenza dell’opposizione politica al governo populista e sovranista Salvini-Di Maio a ragionare più per strategie di ceto politico che per visione politica animata da – come direbbe il filosofo spagnolo Ortega y Gasset – un “un progetto incitativo, un’impresa comune che si propone ai gruppi dispersi”. Si ragione in base al leader del momento, alla possibilità di allargare il campo a più partiti e movimenti politici, o valutando se far nascere o meno un partito, guardando solamente lo scacchiere politico del momento. Esemplificativo in tal senso è Carlo Calenda che, a suo dire, farebbe nascere un partito liberal-democratico “solo se me lo chiedesse Nicola Zingaretti”. È chiaro che con tali premesse un qualsiasi partito liberale sarebbe destinato a fallire, dopo aver svolto magari una breve stagione da “terza gamba” di un eventuale governo di centro-sinistra.

Nel frattempo, in attesa di una necessaria visione politica “incitativa”, non resta che osservare una buona parte degli elettori liberal-democratici astenersi, orfani come sono di un partito che li rappresenti.

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